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Solennità del Natale del Signore

DIOCESI DI TRIESTE

Santo Natale di nostro Signore Gesù Cristo

+ Giampaolo Crepaldi

Cattedrale di San Giusto, 25 dicembre 2014

 

1.     “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Carissimi fratelli e sorelle, con queste parole Giovanni ci comunica, nel Prologo del suo Vangelo che abbiamo appena ascoltato, il Mistero natalizio che oggi celebriamo, parole che costituiscono l’originalità assoluta del cristianesimo, rendendolo unico in maniera incomparabile e inconfondibile. Il Verbo di Dio – Dio egli stesso, che “era presso Dio … tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste” – è divenuto uomo. San Leone Magno, con intelligenza teologica insuperata nel cogliere l’unicità dell’evento salvifico della nascita del Signore Gesù, scrisse: “Egli si è abbassato ad assumere la nostra umile condizione senza diminuire la sua maestà. E’ rimasto quel che era e ha preso ciò che non era, unendo la reale natura di servo a quella natura per la quale è uguale al Padre … In questa maniera l’umiltà viene accolta dalla maestà, la debolezza dalla potenza, la mortalità dalla eternità” (Discorso Primo sul Natale, 2). Il Verbo di Dio è venuto a condividere la nostra impotenza: quella debolezza e quella inconsistenza che è propria della carne umana. S. Leone Magno opportunamente scrisse: “Rimanendo intatte dunque le proprietà di ambedue le nature e congiungendosi in un’unica persona, la maestà (divina) assume in sé l’umiltà della condizione umana, la potenza l’infermità, l’eternità la condizione mortale … e il Dio vero e l’uomo vero si associano armonicamente nell’unicità del Signore” (Discorso XXI, 2,2). E’ questo l’avvenimento che oggi celebriamo: l’amore del Padre che “… ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito” (Gv 1,16), dal momento che “… quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna” (Gal 4,4).

2.     Carissimi fratelli e sorelle, in questo Natale siamo invitati a penetrare e a cogliere in profondità, per quanto possibile, il significato del Mistero che stiamo celebrando, chiedendoci: per quale ragione Dio ha voluto assumere la nostra umile condizione e la nostra natura umana? La risposta ce la offre l’evangelista Giovanni nel Prologo del Vangelo che è stato proclamato: “A quanti però lo hanno accolto” egli ci dice “ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati” (Gv 1,12-13). L’incarnazione del Verbo realizza un progetto, pensato fin dal principio nella mente di Dio: introdurre ognuno di noi nella stessa vita divina. Rendere ciascuno di noi partecipe della condizione divina che è propria del Figlio unigenito, che è nel seno del Padre. Siamo stati pensati fin dall’eternità come figli adottivi del Padre, partecipi della filiazione del Verbo. E’ questa la verità della nostra persona, la ragione per cui esistiamo. Il Verbo si fece carne perché noi potessimo, attraverso di Lui e in Lui, realizzarci secondo la verità del nostro essere. Oggi è il giorno in cui scopriamo la verità intera su noi stessi e riceviamo la capacità di realizzarla. Scrissero i Padri del Concilio Vaticano II: “In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo … Cristo … proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione” (Gaudium et Spes, 22).

3.     Carissimi fratelli e sorelle, la nascita di Gesù è un evento straordinario di amore e di speranza. E la festa che giustamente facciamo per celebrare degnamente questo evento sarebbe come una scatola vuota e inutile se non venisse vissuta con la necessaria apertura del cuore ad accogliere nella nostra vita il Festeggiato, Gesù Cristo, Salvatore e Redentore dell’uomo. Di fronte a Lui deve fare un passo indietro tutto quello che ci inganna e ci degrada. Mi riferisco, in modo particolare, a tutto quello che irretisce la gioventù con l’offerta della droga e dell’alcool; a tutto quello che inquina e corrompe la convivenza civile con la ricerca del denaro subito e tanto, procurato attraverso le scorciatoie che disdegnano le strade del lavoro onesto; a quel fenomeno sociale rappresentato dal gioco d’azzardo – in crescita pericolosa anche nella nostra città – che alimenta povertà morale e materiale, che mina le relazioni familiari e amicali, seminando solitudine, dipendenza e disperazione.

4.        Carissimi fratelli e sorelle, è con occhi pieni di meraviglia e di stupore che siamo invitati a contemplare la nascita di Gesù, sentendoci interpellati a realizzare la nostra umanità – sul piano personale e su quello collettivo – secondo le esigenze della filiazione divina che ci sono state rivelate dal Signore con il suo farsi uomo. Ed è in questa prospettiva che acquistano senso gli auguri che ci scambiamo proprio a Natale. Nascerà così spontaneo e vero l’augurio di un Natale sereno e pieno di speranza e di amore. Un augurio che vogliamo fare tutti insieme ai bambini che, con la loro stessa vita, del Natale sono i primi e i destinatari privilegiati; un augurio alle nostre famiglie e ai giovani, spesso travagliati dal drammatico problema della mancanza di lavoro; un augurio al mondo del lavoro – imprenditori, operai e impiegati – affinché ritrovi i giorni della fiducia; un augurio di serenità alle persone in malattia e alle molte persone anziane che spesso vivono come dentro un tunnel lungo e oscuro; un augurio di amorosa prossimità a chi è solo e con il cuore vuoto di senso, a chi è escluso, a chi soffre l’emarginazione, a chi è nel bisogno estremo della solidarietà del prossimo; un augurio di forza e di coraggio ai nostri fratelli e sorelle cristiani perseguitati in Iraq, in Nigeria, in India e in tantissime altre parti del mondo; un augurio di pace alla nostra città di Trieste affinché imbocchi le strade dell’amicizia civile e dello sviluppo; un augurio di buon Natale a tutti, nel nome di Gesù bambino!