DIOCESI DI TRIESTE
+ Giampaolo Crepaldi
Arcivescovo – Vescovo di Trieste
MESSAGGIO PER L’AVVENTO
RISCOPRIRE IL SACRAMENTO DELLA CRESIMA
Carissimi presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate, fedeli laici della Chiesa di Trieste: “grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo” (1Cor 1,3).
Premessa
1. Per preparaci bene al Natale del Signore Gesù, la Chiesa ci offre il tempo dell’Avvento come tempo di attesa, di conversione, di speranza. Tempo di attesa, ben spiegato nel Prefazio della prima domenica di Avvento, dove si sottolinea che il Signore “al suo primo avvento nell’umiltà della nostra natura umana, portò a compimento la promessa antica, e ci aprì la via dell’eterna salvezza”. E poi si aggiunge: “Verrà di nuovo nello splendore della gloria, e ci chiamerà a possedere il regno promesso che ora osiamo sperare vigilanti nell’attesa”. L’Avvento è anche tempo di conversione, alla quale la liturgia ci invita con la voce dei profeti e soprattutto di san Giovanni Battista: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 3, 2). Infine, l’Avvento è il tempo della speranza gioiosaperché la salvezza è già operata e operante, mentre ci assicura che le realtà di grazia, presenti nel mondo, giungeranno alla loro maturazione e pienezza, quando la promessa si tramuterà in possesso, la fede in visione e “noi saremo simili a lui e lo vedremo così come egli è” (1Gv 3, 2).
2. In questo impegnativo itinerario spirituale che la Chiesa ci indica in vista del santo Natale, ho ritenuto opportuno proporre un Messaggio che richiami tutti a considerare alcuni aspetti importanti di un sacramento che, in genere, viene ricevuto quando si è ancora giovanissimi e che, quasi sempre, finisce per essere dimenticato. Mi riferisco al sacramento della cresima o confermazione che, se ben compreso e vissuto, può invece alimentare in ognuno di noi quella spinta spirituale a vivere l’Avvento come tempo di attesa, di conversione e di speranza. A muovermi in questa direzione nella scelta del tema di questo Messaggio c’è anche un’altra ragione, più di carattere pastorale. Opportunamente sollecitata dal Sinodo dei giovani – Sinodo promosso da papa Francesco e da poco conclusosi a Roma – anche la nostra Chiesa si è interrogata sulla realtà giovanile diocesana e cittadina e, in particolare, ha deciso di impegnare l’anno pastorale 2018/2019 ad affrontare la questione preoccupante del dopo-cresima, quando, dopo un lungo e impegnativo percorso di iniziazione cristiana, l’abbandono da parte dei ragazzi e delle ragazze evidenzia che il sacramento che dovrebbe confermarli in una consapevole testimonianza di fede cristiana è, di fatto, il sacramento che conferma il loro addio. Perché un esito tanto fallimentare? Le risposte a questo quesito sono tante, come sono tante le cause. È ora però di cominciare a riflettere su questa questione e a mettere in moto un’inversione di tendenza. Come? Cominciando a conoscere meglio questo sacramento.
3. Il sacramento della cresima è il sacramento della pienezza dello Spirito che conferma il battezzato e lo impegna, a rendere testimonianza al Vangelo per la costruzione della Chiesa e del Regno di Dio nel mondo. Come il sacramento del battesimo, anche il sacramento della cresima appartiene all’ordine delle grandi opere di Dio. Se il primo si radica nel mistero pasquale della morte e della risurrezione del Signore Gesù, il secondo si fonda nel mistero dell’effusione dello Spirito santo a Pentecoste che, come sappiamo, ha inaugurato il tempo della Chiesa e la missione degli Apostoli e dei cristiani nel mondo. San Pietro e san Giovanni l’amministrarono a Samaria ove molti si erano convertiti: “Essi scesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora disceso sopra nessuno di loro; ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo” (At 8, 15-17). San Paolo, ad Efeso, l’amministrò a dodici uomini seguaci di san Giovanni Battista: “…non appena Paolo ebbe imposto loro le mani, scese su di loro lo Spirito Santo e si misero a parlare in lingue e a profetare” (At 19,6).
4. Propongo ora un testo di San Giovanni Paolo II che, in un incontro con un gruppo di cresimandi, spiegò, con parole chiare e semplici, questo Sacramento: “La Confermazione completa il Battesimo, perfeziona il cristiano. L’imposizione delle mani e l’unzione con il sacro crisma – l’olio santo di Cristo – sono i segni efficaci del dono dello Spirito Santo. Prima di segnare la vostra fronte col sacro crisma, stenderò le mani su tutti i cresimandi. È il gesto che ci viene da Gesù mediante gli apostoli. Con questo gesto è il Signore che prende possesso di voi, che vi protegge con la sua mano; è lui che vi guida, che vi manda in missione, come se vi dicesse: Non aver paura, Io sono con te. E per ciascuno di voi io pronuncerò le parole: Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono. Voi partecipate alla grazia di Gesù che a Nazaret diceva: ‘Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione’. Lo Spirito vi è stato dato perché tutto il vostro essere cristiano sia illuminato e fortificato. Sì, lo Spirito completa la vostra somiglianza con Cristo: vi segna profondamente con la sua impronta, con il segno della croce, come il bambino porta la somiglianza dei suoi genitori e voi sapete che la croce è il segno di Cristo. Lo Spirito diventa il vostro maestro interiore che vi apporta costantemente la luce di Cristo per guidarvi verso la verità tutta intera”.
Lo Spirito Santo protagonista del sacramento della cresima
5. A partire da questa suggestiva descrizione del sacramento della cresima da parte del grande pontefice san Giovanni Paolo II, sono ora ad invitarvi a fare qualche approfondimento tematico. Il primo aspetto che invito ad approfondire in questa nostra conoscenza del sacramento della cresima è il ruolo dello Spirito Santo. Lo faremo con l’indispensabile aiuto di alcuni testi biblici. Nella Bibbia, infatti, tutte le tappe più rilevanti della storia della salvezza sono segnate dallo Spirito Santo e dalla sua azione. La Genesi inizia con lo Spirito che si libra sulle acque primordiali per creare armonia e vita; entra nell’uomo per renderlo simile a Dio; ispira e guida i patriarchi, Mosè, i giudici, i re, i profeti, i sapienti, i salmisti. Prepara con paziente pedagogia la venuta del Messia.
Nel Nuovo Testamento, oltre a san Paolo nei suoi scritti, troviamo san Luca che parla molto dello Spirito Santo nei due libri che scrisse: il Vangelo e gli Atti degli Apostoli. In questo libro è ricordato più di 80 volte, tanto che gli Atti sono chiamati anche Il Vangelo dello Spirito Santo. San Luca racconta molte effusioni dello Spirito. Inizia il suo Vangelo con lo Spirito che scende su Maria al momento del concepimento di Gesù e poi su Elisabetta quando la incontra. Avvia la missione pubblica di Gesù con lo Spirito che scende su di lui al Giordano e poi lo accompagna in tutte le tappe della sua predicazione itinerante, della sua testimonianza d’amore fino al suo martirio.
6. San Luca, inoltre, fa iniziare la missione della Chiesa con l’effusione dello Spirito Santo a Pentecoste. Per dare un contesto solenne e comunitario al dono dello Spirito offerto da Cristo nell’evento della sua morte-risurrezione-ascensione, san Luca sceglie la festa ebraica della Pentecoste, antica festa della mietitura del grano e dell’orzo, trasformata, dopo il ritorno dall’esilio, nella festa dell’Alleanza. Utilizzando questo contesto, san Luca intende farci capire che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio che ha stipulato la Nuova Alleanza nel sangue di Cristo, un’Alleanza non più scritta su tavole di pietra, ma infusa nel cuore delle persone e vissuta nella lode a Dio, nell’annuncio della risurrezione di Cristo e nel servizio d’amore ai fratelli.
7. È a partire da questi suggestivi richiami che vi invito a meditare il testo dove san Luca racconta la Pentecoste dei primi cristiani: “Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: “Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio”. Tutti erano stupefatti e perplessi, e si chiedevano l’un l’altro: “Che cosa significa questo?”. Altri invece li deridevano e dicevano: “Si sono ubriacati di vino dolce” (At, 2, 1-13).
8. In questo denso e coinvolgente testo degli Atti troviamo alcuni insegnamenti molto importanti che ci consentono una conoscenza più adeguata dello Spirito Santo, della sua azione e dei frutti che ne conseguono.
a) In primo luogo, vi invito a soffermarvi sui simboli del vento-tuono-tempesta e del fuoco. Erano simboli molto usati nella tradizione ebraica per indicare il dono della Legge e dell’Alleanza. Anche i profeti li avevano usati per indicare l’alleanza interiore che Dio avrebbe sancito con il suo popolo (Ger 31,31-34; Ez 36,16-38). Anche nel Nuovo Testamento sono molto utilizzati in riferimento al dono dello Spirito. Nel testo che abbiamo meditato i simboli ci comunicano questa verità: con la sua morte e risurrezione, Gesù ha realizzato la nuova e definitiva Alleanza promessa dai profeti.
b) In secondo luogo, vi invito a prendere in considerazione il riferimento implicito alla città di Babele-Babilonia, simbolo dei nemici di Dio. In questa città si tentò di unire tutti gli uomini creando un unico impero politico, economico, sociale, culturale, cementato da un’unica religione, quella di divinizzare l’imperatore: questo tentativo portò solo confusione e disgregazione. A Babele, il testo di san Luca che abbiamo letto contrappone la città di Gerusalemme: lì il dono dello Spirito porta alla lode di Dio e all’unione tra le persone. Pur appartenenti a culture e tradizioni diverse, tutti parlano lo stesso linguaggio della fede, dell’amore, della giustizia, della fraternità, della pace. L’orgoglio dell’uomo divide, lo spirito di Dio unisce.
c) In terzo luogo, vi invito a considerare i tanti popoli presenti a Gerusalemme nelle grandi feste, che costituiscono come un grande cerchio che fa perno sulla città santa e si allarga progressivamente fino ad abbracciare tutta la terra. Il dono dello Spirito impegna i cristiani nella prospettiva della missione, una missione universale che si apre a tutti i popoli, a tutte le culture e alle religioni della terra. L’elenco dei popoli e i termini usati per il simbolo del parlare in lingue sottolineano già il tema che coinvolgerà ben presto le comunità cristiane del primo secolo: la missione di annunciare il Vangelo a tutti i popoli.
9. In definitiva, il testo degli Atti degli Apostoli che abbiamo letto ci insegna che chi accoglie e si lascia coinvolgere dallo Spirito Santo sa di essere entrato nel fecondo dinamismo di una nuova alleanza tra Dio e l’uomo, conquistata dal Signore Gesù con la sua morte in croce e la sua risurrezione. Inoltre, sa che con il dono dello Spirito arriva anche la forza per costruire la città umana nel segno dell’amore, della giustizia e della pace. Infine, lo Spirito accolto trasforma il cristiano in un testimone coraggioso del Vangelo: le porte, chiuse per paura dei capi, vengono spalancate sul mondo; l’obbedienza riverente al potere, diventa invito alla conversione; la vigliaccheria che aveva portato i primi discepoli a fuggire, diventa coraggio missionario nell’annunciare il Vangelo e nell’affrontare le persecuzioni.
La liturgia del sacramento
10. Dopo esserci soffermati a considerare lo Spirito Santo quale protagonista del sacramento della cresima, è bene prendere in considerazione i vari momenti della liturgia del sacramento.
a) In primo luogo, la rinnovazione delle promesse battesimali. Essa è stata inserita nella liturgia con lo scopo di mettere in evidenza il rapporto della cresima con il battesimo di cui essa è un naturale sviluppo e completamento. Con la rinnovazione delle promesse battesimali, il rito intende risvegliare la responsabilità personale ed ecclesiale del battezzato. Il cresimando, infatti, è invitato a far suo quell’atto di fede, a professare davanti al Vescovo e alla Chiesa quella fede che fu richiesta ai genitori nel giorno del suo battesimo. Ora egli dimostra che quella fede battesimale è diventata sua. La cresima, come ogni sacramento, esige la fede e questa non può essere che la fede battesimale. Qui, dunque, si ha la personalizzazione dell’atto di fede, espresso nel battesimo, davanti alla comunità cristiana e al suo legittimo pastore.
b) In secondo luogo, l’imposizione delle mani. Questo gesto, pur non appartenendo all’essenza del segno sacramentale, è da tenersi in grande considerazione in quanto serve ad integrare maggiormente il rito stesso e a favorire una migliore comprensione del sacramento. Esso mette in evidenza il conferimento della missione. Con l’orazione, infatti, si chiede al Padre di effondere lo Spirito Santo che confermi la grazia battesimale con la ricchezza dei suoi doni e che renda i cresimandi più conformi a Cristo. All’orazione fa seguito l’imposizione delle mani, fatta dal vescovo e dai sacerdoti presenti. Si tratta di un segno di epiclesi, cioè di invocazione al Padre perché, attraverso la mediazione di Cristo glorioso, mandi lo Spirito Paraclito con i suoi sette doni: sapienza, intelletto, consiglio fortezza, scienza, pietà, santo timore, che abilitano il cristiano ad una vita di evangelizzazione e di missione, una vita di testimonianza.
c) In terzo luogo, la crismazione. Tracciando un segno di croce sulla fronte del cresimando con il santo crisma e tenendo contemporaneamente la mano stesa sulla testa, il vescovo pronuncia questa formula: …, ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono. Abbiamo in questa formula la forma essenziale del rito della confermazione. L’unzione e le parole che l’accompagnano – comuni anche alla tradizione liturgica dell’Oriente bizantino – esprimono gli effetti del dono dello Spirito Santo: il battezzato sul quale il vescovo stende la mano per tracciargli in fronte il segno della croce con il crisma, l’olio profumato, riceve un carattere indelebile, sigillo del Signore, e, insieme, il dono dello Spirito che lo configura più perfettamente a Cristo e gli dà la grazia di spandere tra le genti il buon profumo di Cristo, senza mai dover arrossire della sua croce; comunica anche la grazia di rendergli testimonianza, con la parola e con l’azione, per l’edificazione del suo corpo nella fede e nella carità; in questo modo il legame con la Chiesa è reso più perfetto (Cf. Lumen gentium, n. 11). Commentando il gesto della crismazione e sottolineandone la dimensione trinitaria, s. Ambrogio scrisse: “Ricordati dunque che hai ricevuto il sigillo dello Spirito…Dio Padre ti ha marcato del suo sigillo, il Cristo Signore ti ha confermato e ha messo nel tuo cuore la caparra dello Spirito” (De mysteriis, 42).
d) In quarto luogo, il segno di pace che chiude il rito significa e manifesta la comunione ecclesiale col vescovo e con tutti i fedeli. Il saluto – La pace sia con te – chiude il rito della cresima. É un saluto pasquale, rivolto dal Risorto ai discepoli, riservato tradizionalmente al Vescovo: la comunità cristiana, nata dalla Pasqua di Cristo, è una comunità pasquale. Questa comunità è chiamata in causa soprattutto nella preparazione dei ragazzi al sacramento della cresima e nel seguirli e accompagnarli nel dopo-cresima. Una preparazione e un accompagnamento che devono possibilmente essere di tipo catecumenale che vede cioè il convergere concorde di tutta la comunità: genitori in primo luogo, poi la parrocchia con i catechisti. Una formazione non semplicemente nozionistico-dottrinale, ma capace di coinvolgere i ragazzi in un cammino di conversione, di fede e di testimonianza. Certe esperienze fallimentari del dopo-cresima potrebbero essere evitate o ridotte se i cresimati trovassero una comunità viva, dove inserirsi organicamente per l’esercizio dei carismi e dei ministeri; una parrocchia che vive e propone la comunione.
Una vita secondo lo Spirito Santo
11. Dagli spunti proposti nelle pagine precedenti possiamo dire che lo Spirito Santo è l’artista che dà l’ultima mano alle opere d’amore del Padre e del Figlio. Alla risurrezione, i discepoli riconoscono Cristo, credono in lui, sono “battezzati” da questo incontro personale con il Risorto; ma restano limitati, paurosi, tappati dietro i loro muri. Il dito di Dio, lo Spirito Santo, li mette “a punto” con la Pentecoste. E questa “messa a punto” continua oggi per noi attraverso la nostra Pentecoste: la cresima. Con il battesimo entriamo a far parte della famiglia di Dio, “passiamo dalla morte alla vita”, diventiamo dei “viventi”: è iniziata la nostra risurrezione. Con la cresima lo Spirito ci rende “vivificanti”, diffusori di vita. In altri termini, il battesimo ci fa nascere da Dio, ci rende figli del Padre in Gesù; la cresima, con la testimonianza e la diffusione di questa vita che è in noi, ci rende padri e madri spirituali, a imitazione di Maria, madre della chiesa. Con il battesimo siamo “chiamati” e giustificati, per essere glorificati (Rm 8,29-30); con la cresima siamo “inviati” ad ammaestrare tutte le nazioni (Mt 28,19) e a questo scopo rivestiti di potenza (Lc 24,49). Con il battesimo diventiamo “discepoli”, siamo la chiesa che ascolta la parola e la medita nel suo cuore per metterla in pratica; con la cresima, senza cessare di essere discepoli, siamo “profeti”, siamo la chiesa che parla, che annuncia Gesù Cristo, che evangelizza, che raggiunge nei loro luoghi, nelle loro lingue e nelle loro culture, tutte le nazioni che sono sotto il cielo, tutti i popoli e, prima di tutto, i nostri ambienti di vita e di lavoro, tanto bisognosi di Dio.
12. In quanto battezzati, la Chiesa è per noi una famiglia, una casa, dove siamo serviti, nutriti, istruiti, consolati, lavati, resi candidi e curati…; in quanto cresimati, la chiesa diventa un campo di lavoro, un’assunzione di responsabilità: una comunità da animare, da custodire, da allargare, da moltiplicare attivamente, ciascuno secondo le sue possibilità e la grazia ricevuta. Lo Spirito ci rende membri attivi e responsabili della vita e della missione della chiesa e della costruzione di una società più giusta e più fraterna. Con il battesimo “siamo rivestiti di Cristo” (Gal 3,27) perché egli viva in noi. Con la cresima siamo diventati capaci di irradiarlo, come i santi, dai quali usciva la potenza dello Spirito che faceva del bene a tutti. Infine, il battezzato professa la verità della fede, il cresimato la penetra. Gesù l’aveva predetto: “Quando verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera… e vi annunzierà le cose future” (Gv 16,22; cfr. Gv 14,26).
13. Con il sacramento della cresima siamo chiamati a modellare il cammino della nostra vita secondo le esigenze dei doni dello Spirito Santo. A questo riguardo consentitemi di proporre alla vostra attenzione un illuminante discorso di Papa Benedetto XVI: “Il primo dono è la sapienza, che ci fa scoprire quanto è buono e grande il Signore e, come dice la parola, rende la nostra vita piena di sapore, perché siamo, come diceva Gesù, «sale della terra». Il secondo dono è l’intelletto: con esso possiamo comprendere in profondità la Parola di Dio e la verità della fede. Il terzo dono è il consiglio, che ci guida nella scoperta del progetto di Dio sulla nostra vita. Il quarto dono è la fortezza, che ci aiuta a vincere le tentazioni del male e fare sempre il bene, anche quando costa sacrificio. Il quinto dono è la scienza: non scienza in senso tecnico, ma scienza che insegna a trovare nel creato i segni, le impronte di Dio, a capire come Dio parla in ogni tempo e parla a ognuno di noi, e ad animare con il Vangelo il lavoro di ogni giorno; capire che c’è una profondità e capire questa profondità e così dare sapore al lavoro, anche quello difficile. Il sesto dono è quello della pietà, che tiene viva nel cuore la fiamma dell’amore per il nostro Padre che è nei cieli, in modo da pregarLo ogni giorno con fiducia e tenerezza di figli amati; di non dimenticare la realtà fondamentale del mondo e della mia vita: che c’è Dio e che Dio mi conosce e aspetta la mia risposta al suo progetto. Finalmente il settimo e ultimo dono è il timore di Dio: timore di Dio non indica paura, ma sentire per Lui un profondo rispetto, il rispetto della volontà di Dio che è il vero disegno della mia vita ed è la strada attraverso la quale la vita personale e comunitaria può essere buona; e oggi, con tutte le crisi che vi sono nel mondo, vediamo come sia importante che ognuno rispetti questa volontà di Dio impressa nei nostri cuori e secondo la quale dobbiamo vivere; e così questo timore di Dio è desiderio di fare il bene, di fare la verità, di fare la volontà di Dio”.
14. Nel leggere questa suggestiva catechesi di Papa Benedetto XVI sui doni dello Spirito Santo ci sembra di intuire che la vita cristiana è come un difficile sentiero che sale su un monte, da percorrere avendo nel proprio bagaglio i doni preziosi dello Spirito Santo che alimentano e rafforzano in noi l’amicizia con Gesù. Essa va coltivata continuamente con il sacramento dell’eucaristia, nel quale riceviamo il suo Corpo e il suo Sangue. Per questo risulta necessario partecipare sempre, con gioia e fedeltà, alla Messa domenicale, quando tutta la comunità si riunisce insieme a pregare, ad ascoltare la Parola di Dio e a prendere parte al Sacrificio eucaristico, come appunto ci sottolinea Papa Francesco nella sua catechesi del 13 dicembre 2017 sulla messa domenicale. Quando nell’eucaristia ci uniamo al sacrificio di Gesù, tutta la nostra vita diventa un «sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» (Rm 12,1). Allora davvero noi facciamo memoria di Gesù, annunciamo la sua morte e la sua risurrezione. Non a parole, ma con la nostra vita.
Lo Spirito Santo e la Vergine Maria
15. Termino questa Messaggio invitandovi a contemplare il legame che unisce Maria allo Spirito Santo; esso può donare alla nostra vita uno slancio indicibile, perché ci consente di entrare in sintonia con il potente mistero dell’Incarnazione di Dio, dal quale è scaturita la nostra salvezza. Entrare in spirituale unione con la Vergine Maria, in questa dimensione dell’Amore trinitario, significa trovare la chiave per accedere alla più profonda conoscenza di Gesù, frutto dello Spirito Santo in Maria! Il Magistero ha spesso additato al credente questa indissolubile unione tra l’Amore eterno del Padre e la Vergine Madre, mostrandolo come legame sponsale. San Paolo VI, nell’Esortazione apostolica Marialis cultus, ricorda come alcuni santi Padri e scrittori ecclesiastici, “approfondendo ancora il mistero dell’Incarnazione, videro nell’arcano rapporto Spirito Santo e Maria un aspetto sponsale, poeticamente ritratto così da Prudenzio: la Vergine non sposata si sposa allo Spirito” (n. 26). Nella Redemptoris Mater, san Giovanni Paolo II, riaffermava chiaramente che, quando lo Spirito è sceso su Maria nell’Annunciazione, Ella “è diventata la fedele sua sposa” (n. 26). Tanti santi e beati, innumerevoli fedeli l’hanno invocata e la invocano sposa dello Spirito Santo, vedendo in Maria la sposa di Dio, cioè la tutta santa, sempre e incondizionatamente fedele al Suo Amore! Anche noi non stanchiamoci di invocare la venuta dello Spirito Santo nei nostri cuori, Spirito che ci rende discepoli fedeli e testimoni intrepidi di Cristo, come lo furono la Vergine Maria e i santi e le sante della nostra Chiesa, da san Giusto fino al beato don Francesco Bonifacio.