Giovedì Santo | Santa Messa Crismale

DIOCESI DI TRIESTE
Santa Messa Crismale

+ Giampaolo Crepaldi
Cattedrale di San Giusto, 2 aprile 2015

 

Eccellenze rev.ssime, dragi sobratje v duhovništvu, carissimi Sacerdoti, Diaconi, Religiosi e Religiose, fratelli e sorelle, bratje in sestre!

1.     Prima di tutto desidero ringraziare i sacerdoti per essere qui nella nostra Cattedrale in occasione di questa Messa crismale durante la quale, con generosa dedizione, confermeranno le promesse fatte al momento dell’ordinazione. Al grazie per ciascuno, desidero unire il ricordo fraterno e la promessa della preghiera di tutti i presenti per quei confratelli che, a motivo della lontananza fisica richiesta dal ministero o perché anziani o ammalati, non sono tra noi, anche se sono comunque uniti a noi nella grazia e nella forza dell’appartenenza sacramentale al nostro presbiterio diocesano. Un pensiero del tutto speciale lo vogliamo riservare ai sacerdoti che dal Giovedì santo dell’anno scorso non sono più con noi, mentre li affidiamo alla bontà misericordiosa del Padre celeste: Rocco Mons. Giuseppe, Gherbaz can. Roberto, Suard don Maks, Dušan Mons. Jakomin, Bosso Mons. Tarcisio. Un saluto particolare e grato lo riserviamo ai diaconi con i quali condividiamo gioie e, spesso dolori, della vita pastorale. Saluto con affetto tutti i presenti: le persone consacrate e i laici; grazie di cuore per esservi uniti a noi in questa festosa circostanza in cui ringraziamo il Signore del dono del sacerdozio.

2.     Predragi, carissimi, al centro dell’azione liturgica di questa santa Messa crismale ci sono gli oli santi. Essi sono consacrati nella Cattedrale dal Vescovo per tutto l’anno. In questo singolare fatto, essi intendono esprimere l’unità della Chiesa, unità che è garantita dal Vescovo; essi, infatti, rimandano a Cristo che è il vero “pastore e custode delle nostre anime”, come lo chiama san Pietro (cfr 1Pt 2,25). L’unità della Chiesa è un bene preziosissimo che ci deve stare particolarmente a cuore e sulla cui salvaguardia non si può accampare la minima scusa. Inoltre, gli oli sacri ci ricordano l’Orto e il Monte degli Ulivi, dove Gesù visse la sua passione e dove Gesù è asceso al Padre: luogo di Passione quindi, ma anche luogo di redenzione. E quella grazia misteriosa che è stata generata in quell’Orto e in quel Monte continua fino ad oggi nella vita sacramentale della Chiesa. In un’impareggiabile omelia, Papa Benedetto XVI scrisse: “In quattro Sacramenti l’olio è segno della bontà di Dio che ci tocca: nel Battesimo, nella Cresima come Sacramento dello Spirito Santo, nei vari gradi del Sacramento dell’Ordine e, infine, nell’Unzione degli infermi, in cui l’olio ci viene offerto, per così dire, quale medicina di Dio – come la medicina che ora ci rende certi della sua bontà, ci deve rafforzare e consolare, ma che, allo stesso tempo, al di là del momento della malattia, rimanda alla guarigione definitiva, alla risurrezione (cfr Gc 5,14). Così l’olio, nelle sue diverse forme, ci accompagna lungo tutta la vita: a cominciare dal catecumenato e dal Battesimo fino al momento in cui ci prepariamo all’incontro con il Dio Giudice e Salvatore”.

3.     Carissimi, predragi, è nel quadro di questi suggestivi richiami teologici che l’odierna celebrazione ci spinge a ritrovare slancio spirituale nel nostro essere preti e diaconi nella e della Chiesa di Trieste. Viviamo tempi complessi e difficili per la fede cristiana, tempi destinati a diventare sempre più complessi e irti di difficoltà. Non mi soffermo ad enumerarle, perché tutti ne conosciamo contorni e ne sperimentiamo gli effetti. Far finta di niente o che non esistano tali difficoltà o cercare scorciatoie – dottrinali, pastorali o perfino semplicemente mondane – si rischia di non andare da nessuna parte e di aggravare una situazione già assai problematica. Che fare? è la domanda frequente che anche noi ci poniamo di fronte a questa situazione. Forse la risposta migliore è quella di coltivare dentro di noi un salutare habitus spirituale, ricordando, per esempio, nelle presenti circostanze storico-culturali dentro le quali siamo chiamati a vivere che quell’olio che ci ha consacrati sacerdoti è anche stato inteso sempre nel contesto di una comprensione simbolica che abilitava l’unto alla lotta. Di che lotta si trattava e si tratta? A me sembra che, con i tempi che corrono e che correranno, siamo chiamati e mandati a soffrire per il bene, mandati a soffrire per Dio. Come i martiri, come san Giusto, come il beato don Francesco Bonifacio: essi respinsero i falsi dei, rifiutarono di sottomettersi ai poteri mondani, spesso violenti e demoniaci, non si piegarono mai davanti alla falsità e alle ideologie per amore di Dio e dell’uomo. Con il sacrificio della loro vita hanno affermato quanto sia liberante e salvante se la vita personale e la storia umana sono conformi al primato cristiano della verità e della libertà. Se il ministero sacerdotale si va configurandosi sempre più come una missione di sofferenza per Dio, non dobbiamo tuttavia coltivare timori o tremori, perché in tutto questo ci è e ci sarà di esempio il nostro unico e vero Signore, Gesù Cristo al quale abbiamo donato tutta la nostra vita. Di Lui, san Pietro scrisse: “Insultato non rispondeva con insulti; maltrattato non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia” (1Pt 2,23s).

4.     Predragi, carissimi, nell’antichità l’olio era visto anche come fonte di gioia e di letizia. E nel rinnovare oggi le nostre promesse sacerdotali vogliamo essere lieti e gioiosi. Non nel senso mondano che si attribuisce solitamente a questi due aggettivi. Nella Chiesa antica l’olio consacrato era considerato olio di letizia perché era segno della presenza dello Spirito Santo, che a partire da Cristo si comunica a noi. E’, in definitiva, lo Spirito di Cristo l’olio della nostra letizia, anche se, essendo di Cristo, è una letizia che si accompagna sempre alla croce. E’ bene non dimenticare mai il racconto degli Atti degli Apostoli secondo cui gli Apostoli, dopo che il Sinedrio li aveva fatti flagellare, erano “lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù” (At 5,41). E la letizia cristiana, se coltivata con fede certa nei nostri cuori, ci spinge oggi a ringraziare il Signore per le tante grazie che ha elargito alle nostre persone e sul nostro ministero pastorale. La letizia cristiana sarà anche capace di spingerci verso il superamento di quella mondanità spirituale, stigmatizzata da Papa Francesco, perché ripiega il riferimento del cuore all’orizzonte chiuso della sua immanenza. Invece, anche attraverso i frutti spirituali e pastorali che sapremo cogliere dal nostro Sinodo della fede che giunge quest’anno alla sua conclusione, la nostra Chiesa sarà spinta in avanti dal nostro sacerdozio capace, come dice Isaia nel «portare il lieto annuncio ai miseri, fasciare le piaghe dei cuori spezzati, proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri…» (Is 61,1-3a). È tutto qui, cari fratelli nel sacerdozio, il frutto dell’olio della letizia cristiana, dell’olio dell’unzione sacerdotale che discende da Dio e si trasmette ai fratelli, ai figli, anche alle periferie, come ricordava Papa Francesco nella Messa Crismale del 2013, e rappresenta il cuore, lo spirito del sacerdozio che, senza sosta, imploriamo da Dio.

Alla Madonna delle grazie, che è pellegrina nelle parrocchie della nostra Chiesa, affidiamo i nostri propositi di bene e di conversione, mentre invochiamo la sua materna protezione.