Solennità di Tutti i Santi | omelia

DIOCESI DI TRIESTE

 

Solennità di Tutti i Santi

 

+Giampaolo Crepaldi

Arcivescovo-Vescovo

Cattedrale di San Giusto, 1 novembre 2011

 

Carissimi fratelli e sorelle,

 

1.            Siamo oggi invitati dalla Chiesa a ricordare, a lodare ed a pregare tutti i Santi. Siamo invitati a condividere nell’intimo del nostro cuore la gioia perfetta di cui i Santi sono colmati dal Signore e ad imitarli con umiltà e coraggio nel loro cammino di santità. Nella prima lettura che ci è stata proposta, presa dal libro dell’Apocalisse, l’apostolo Giovanni afferma: “Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua”. La moltitudine di cui si parla è l’insieme di “quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello”. E’ la moltitudine dei Santi, di tutti i Santi che, attraverso la tribolazione della vita presente, sono ormai giunti nella beatitudine della visione divina, redenti pienamente e completamente purificati dal Sangue di Cristo. Questo è il primo e fondamentale significato della solennità odierna: celebrando tutti i Santi, anche noi siamo invitati a orientare più generosamente e consapevolmente la nostra vita attuale verso la sua destinazione finale, la vita eterna col Signore. Se recitiamo il Credo con consapevole attenzione ci accorgeremo che la professione della nostra fede termina con queste parole: “Credo… la vita eterna: Amen”. Infatti, “Cristo… proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione” (Conc. Ec. Vat. II, Cost. Gaudium et Spes 22.1). Cristo svela l’uomo a se stesso, manifestandogli precisamente la sua altissima vocazione. Solo quando l’uomo, ciascuno di noi, sa con certezza che non è destinato interamente e definitivamente alla morte, ma alla vita eterna, prende coscienza della sua altissima dignità. Egli è destinato alla vita stessa di Dio. Perciò l’uomo “non sbaglia a riconoscersi superiore alle cose corporali e a considerarsi più che soltanto una particella della natura o un elemento anonimo della città umana” (Ivi, 14,3). La celebrazione odierna è una risposta chiara ad una domanda essenziale ed ineludibile che nasce dalla profondità del cuore umano: «A che cosa sono destinato?». A questa impegnativa domanda San Cipriano risponde: “Questa sarà la tua gloria e la tua felicità: essere ammesso a vedere Dio, avere l’onore di partecipare alle gioie della salvezza e della luce eterna insieme con Cristo” (S.Cipriano, Epistulae 56,10; PL 4,357B). Celebrando la gloria eterna dei suoi santi, la Chiesa oggi confuta ogni visione parziale dell’uomo che lo riduca ad essere cittadino solo di questo mondo; stigmatizza ogni rifiuto di interrogarsi sul suo destino finale, per restringere il proprio desiderio dentro all’istante presente; condanna ogni censura della domanda sul senso ultimo della propria vita. La celebrazione odierna ci libera da quel diffuso stato o condizione spirituale di dubbio radicale e di relativismo, che sfocia facilmente e inesorabilmente nello scetticismo e nell’indifferentismo.

2.            Nella seconda lettura che abbiamo ascoltato, è ancora l’apostolo Giovanni a farci da guida con un brano preso dalla sua prima lettera. Afferma: “Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!”. La contemplazione della gloria di tutti i santi nella vita eterna non ci svela solamente la destinazione finale della nostra vita. Essa ci rivela anche che cosa sta all’origine della medesima. Ci spiega il fatto che ne illustra il sorgere. “Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre…”. Se la nostra  destinazione finale è la vita eterna, ciò è dovuto al fatto che ciascuno di noi è stato pensato e voluto, cioè creato, come “figlio di Dio”. All’origine del nostro essere ed esserci sta questo atto di amore, questo grande amore che il Padre ci ha dato. Ora, ogni figlio ha la stessa natura del padre che lo ha generato. Generati nel santo battesimo da Dio, noi diveniamo fin da ora partecipi della stessa natura divina: “noi fin d’ora siamo figli di Dio”. La contemplazione della gloria di tutti i santi nella vita eterna non ci fa evadere neppure per un momento dalla nostra vita quotidiana. “Noi fin d’ora siamo figli di Dio”: già da ora siamo in possesso della stessa condizione, della stessa vita divina di cui sono partecipi tutti i santi nella eternità. Già da ora è stato deposto in ciascuno di noi quel germe in forza del quale, quando il Cristo si manifesterà, “noi saremo simili a Lui, perché lo vedremo così come Egli è”. Dunque, per essere orientati alla vita eterna non ci è chiesto di evadere neppure per un istante dalla nostra vita quotidiana. Che cosa ci è chiesto? Ascoltiamo la Parola di Dio: “Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro”. Ecco che cosa significa essere orientati alla vita eterna: togliere dalla nostra condizione umana, terrena, tutto ciò che è contrario alla dignità, alla verità, alla bontà del nostro essere figli di Dio. Il Salmo che è stato proclamato ci incalza con le seguenti domande e risposte: “Chi potrà salire il monte del Signore? Chi potrà stare nel suo luogo santo? – Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non si rivolge agli idoli”.

3.            Carissimi fratelli e sorelle, con la solennità di tutti i Santi la Chiesa ci vuole spronare a fare nostro, con maggiore convinzione e decisione, il programma di vita cristiana che Gesù ha consegnato a tutti i suoi discepoli con le Beatitudini. Già le abbiamo ascoltate, ad una ad una, con la proclamazione del Santo Vangelo. Chiediamo ora allo Spirito di Dio, fonte di ogni santità, che le incida in modo indelebile nel nostro cuore. Le vogliamo riascoltare, lasciandoci personalmente coinvolgere, così come le ha volute pronunciare Paolo VI a Nazaret il 5 gennaio 1964: “Beati noi se, poveri nello spirito, sappiamo liberarci dalla fallace fiducia nei beni economici e collocare i nostri primi desideri nei beni spirituali e religiosi; e abbiamo per i poveri riverenza ed amore, come fratelli ed immagini viventi del Cristo. Beati noi se, formati alla dolcezza dei forti, sappiamo rinunciare alla potenza funesta dell’odio e della vendetta ed abbiamo la sapienza di preferire al timore che incutono le armi la generosità del perdono, l’accordo nella libertà e nel lavoro, la conquista della bontà e della pace. Beati noi se non facciamo dell’egoismo il criterio direttivo della vita, e del piacere il suo scopo, ma sappiamo invece scoprire nella temperanza una fonte di energia, nel dolore uno strumento di redenzione e nel sacrificio la più alta grandezza. Beati noi se preferiamo essere oppressi che oppressori, e se abbiamo sempre fame di una giustizia in continuo progresso. Beati noi se, per il regno di Dio, sappiamo, nel tempo e oltre il tempo, perdonare e lottare, operare e servire, soffrire ed amare. Non saremo delusi in eterno. Così ci sembra riudire, oggi, la sua voce. Allora era più forte, più dolce, più tremenda: era divina. Ma mentre cerchiamo di raccogliere qualche risonanza della parola del Maestro, ci sembra di diventare suoi discepoli e di acquistare, non senza ragione, nuova sapienza e nuovo coraggio”. Così Paolo VI ha voluto rileggere anche per noi le Beatitudini evangeliche. Come si vede, i santi, ossia quanti vivono le Beatitudini di Cristo, sono veramente non solo segni di speranza, ma anche forza di speranza per la Chiesa e per la società: per una Chiesa splendente di bellezza spirituale e per una società rispettosa della dignità personale di ogni uomo.

Maria Santissima, che invochiamo Regina di tutti i santi, ravvivi in noi la coscienza della nostra dignità di figli di Dio e ci doni di avere, non paura e stanchezza, ma fierezza e ardore nel nostro camminare in santità e giustizia al cospetto di Dio per tutti i nostri giorni. Amen!