Solenne Apertura del V Sinodo Diocesano

DIOCESI DI TRIESTE

V SINODO DIOCESANO

Permanetis in fide fundati et stabiles

Omelia

 

 

Eccellenza, fratelli nel sacerdozio, predagi bratjie in sestre v Kristusu, cari fratelli e sorelle in Cristo,

1.            Con le gioiose note del canto Chiesa di Dio, popolo in festa ha preso avvio la solenne concelebrazione eucaristica che segna l’inizio del V Sinodo diocesano, Sinodo che, per i temi e i problemi che è chiamato ad affrontare, si propone come il Sinodo della fede. Le letture bibliche che sono state proclamate sono già una preziosa guida per orientare i suoi primi passi. Il brano preso dal Libro del Deuteronomio ci sollecita a coltivare l’obbedienza alla voce del Signore, osservando i suoi comandamenti e i suoi decreti. L’obbedienza alla voce del Signore è, infatti, un ob-audire, un ascolto devoto e fedele della misura integra della fede che, attraverso la Tradizione della Chiesa, ci collega a Cristo stesso. Essa è indispensabile per la fede e per la carità; è essa stessa che santifica (cf 1Pt 1,22). Il secondo brano, preso dalla Lettera di San Paolo ai Filippesi, ci invita a guardare a Cristo che spogliò se stesso per amore nostro. Il suo esempio orienta le scelte e i comportamenti non nella direzione dell’affermazione dei nostri interessi, ma di quelli degli altri; solo in questo modo si può godere quella gioia spirituale che nasce dalla carità e dalla concordia e che si esprime con i sentimenti della consolazione, della comunione, dell’amore e della compassione. Il brano del Vangelo ambienta la correzione fraterna nel contesto della vita e della comunione ecclesiali, avvertendoci della stretta relazione in atto tra il cielo e la terra nell’ordo amoris instaurato dalla Pasqua salvifica del Signore Gesù: “Tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo” (Mt 18,18). Relazione che opera soprattutto quando a renderla tale è la preghiera che produce il miracolo della presenza stessa del Signore: “Se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20).

2.            Ad accoglierci nella nostra Cattedrale sono stati i giovani che, disposti su due file e con le fiaccole accese, sono giunti sul colle di San Giusto dopo aver attraversato le vie della città per ricordarci che, 50 anni fa, ebbe inizio il Concilio Ecumenico Vaticano Secondo. Durante la celebrazione del Sinodo ai giovani sarà dedicata una particolare attenzione attraverso l’iniziativa pastorale denominata Sinodo dei giovani. In questi 50 anni il Concilio ha impresso uno straordinario dinamismo spirituale e pastorale in tutta la Chiesa. Anche il nostro Sinodo farà tesoro dei Documenti lasciati in eredità dai Padri conciliari che, secondo le parole del beato Giovanni Paolo II, “non perdono il loro valore né il loro smalto. È necessario che essi vengano letti in maniera appropriata, che vengano conosciuti e assimilati come testi qualificati e normativi del Magistero, all’interno della Tradizione della Chiesa … Sento – continuava il beato – più che mai il dovere di additare il Concilio, come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX” (Novo millennio ineunte, 6 gennaio 2001). Se i testi conciliari vengono letti e recepiti con la guida di una corretta ermeneutica – quella della riforma nella continuità e non quella della rottura o della discontinuità –, il Concilio può essere e diventare sempre di più, come affermò Benedetto XVI, “una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa” (Discorso alla Curia Romana, 22 dicembre 2005).

3.            Il nostro Sinodo Diocesano si apre in felice coincidenza con l’Anno della fede proposto con il Motu proprio Porta fidei dal Santo Padre Benedetto XVI che ricorda anche il 20° anniversario della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Sappiamo bene che, benché gli anni del Concilio siano stati accompagnati da grandi aspettative riguardanti il rinnovamento ecclesiale, gli anni successivi hanno offerto l’immagine di una Chiesa in gravi difficoltà; difficoltà che hanno trovato un’evidenza particolare in quella che, con accenti preoccupati, il Santo Padre Benedetto XVI descrive come crisi della fede. Crisi maturata nel contesto di una cultura secolare e individualista ormai priva di ogni riferimento alla trascendenza; cultura che pervade tutta la vita quotidiana ed è caratterizzata da “una mentalità in cui Dio è di fatto assente, in tutto o in parte, dall’esistenza e dalla coscienza umana” (Discorso, Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, 8 marzo 2008). Questa cultura non si è fermata alla porta della Chiesa, ma l’ha penetrata profondamente. A questo proposito, scrive Benedetto XVI, i fedeli “vivono nel mondo e sono spesso segnati, se non condizionati, da una cultura che impone modelli e impulsi contraddittori, nella negazione pratica di Dio: non c’è più bisogno di Dio, di pensare a Lui e di ritornare a Lui. Inoltre, la mentalità edonistica e consumistica predominante favorisce, nei fedeli come nei pastori, una deriva verso la superficialità e un egocentrismo che nuoce alla vita ecclesiale” (Ivi). L’iniziativa del Santo Padre di indire l’Anno della Fede è, quindi, particolarmente benvenuta e proficua. Essa possiede una forte intenzionalità evangelizzatrice e missionaria: aprire o riaprire la porta della fede a tutti. Quest’espressione la si trova negli Atti degli Apostoli, dove si racconta che Paolo e Barnaba, di ritorno dal loro primo viaggio missionario ad Antiochia, relazionarono su tutto quello che Dio aveva compiuto per mezzo di loro e come aveva aperto ai pagani “la porta della fede” (Atti 14,27).

 

4.            Carissimi fratelli e sorelle, anche il nostro Sinodo avrà la medesima intenzionalità evangelizzatrice e missionaria: aprire o riaprire la porta della fede a tutti. In sintonia con questa urgenza spirituale e pastorale sono stati scritti i Lineamenta, cioè il programma di lavoro del nostro Sinodo, che sarà consegnato ai sinodali alla fine di questa santa Messa. I Lineamenta ci invitano a non rassegnarci a che il sale resti insipido e la luce nascosta (cf Mt 5,13-16). Dobbiamo essere convinti che anche l’uomo di oggi può sentire di nuovo il bisogno di recarsi come la samaritana al pozzo per ascoltare Gesù, che invita a credere in Lui e ad attingere alla sua sorgente zampillante di acqua viva (cf Gv 4,14). Tutto questo si realizzerà se il nostro Sinodo farà tesoro dell’esortazione contenuta nella Lettera di San Paolo ai Colossesi, che ne costituisce anche il titolo ispirativo: “Permanetis in fide fundati et stabiles…purchè restiate fondati e stabili nella fede” (1,23). I Lineamenta, infatti, ci invitano:

ad essere fondati e stabili a partire da una fede radicata su un rapporto personale e comunitario con Cristo, che colma i nostri cuori con il suo amore;

ad essere fondati e stabili a partire da una conoscenza solida e profonda dei contenuti della fede. La nostra testimonianza di vita come credenti deve maturare nella sua credibilità, riscoprendo i contenuti della fede annunciata, celebrata e testimoniata: “Riflettere sullo stesso atto con cui si crede, afferma Benedetto XVI, è un impegno che ogni credente deve fare proprio, soprattutto in questo Anno” (Porta fidei, n. 9);

ad essere fondati e stabili a partire da una conoscenza della storia della fede. A partire dalla conoscenza di Gesù Cristo che è “colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12,2), dobbiamo allargare i nostri orizzonti ai grandi esempi della fede ecclesiale: Maria Santissima, gli Apostoli, i martiri e tutti gli altri santi e i santi della nostra Chiesa tergestina, da San Giusto al beato don Francesco Bonifacio;

ad essere fondati e stabili a partire da una professione della fede anche nella sua dimensione pubblica. La fede non è una cosa privata. Scrive il Santo Padre Benedetto XVI: “La fede, proprio perché è atto della libertà, esige anche la responsabilità sociale di ciò che si crede. La Chiesa nel giorno di Pentecoste mostra con tutta evidenza questa dimensione pubblica del credere e dell’annunciare senza timore la propria fede ad ogni persona. È il dono dello Spirito Santo che abilita alla missione e fortifica la nostra testimonianza, rendendola franca e coraggiosa” (Ivi n. 10):

ad essere fondati e stabili a partire dalla testimonianza della carità: “La fede senza la carità non porta frutto e la carità senza la fede sarebbe un sentimento in balia costante del dubbio … da bomo utemeljeni in trdni v veri po pričevanju ljubezni, kajti vera brez ljubezni ne prinaša svojih sadov in ljubezen brez vere bi bila le čustvo, ki ga premetava neprestani dvom.

Grazie alla fede possiamo riconoscere in quanti chiedono il nostro amore il volto del Signore risorto. “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40)” (Ivi n. 14).

Nel prossimo futuro, la Chiesa forse avrà meno membri, ma, se riesce a permanere fondata e stabile nella fede, nel lungo termine avrà membri più convinti e sarà in grado di essere nella società il lievito buono per la crescita del Regno dei cieli (cf. Mt 13,33).

 

5.            Carissimi, la processione che dal Castello di san Giusto ci ha portato qui in Cattedrale è stata impreziosita dal canto delle litanie dei santi. Una preghiera che contiene in sé il richiamo esigente già formulato dal Concilio Vaticano II: la chiamata universale alla santità che, in quanto tale, riguarda tutti i cristiani (cf Lumen gentium, 39-42). I santi sono quelli che, con convinzione totale, hanno varcato la porta della fede: con la loro intercessione e con l’esempio della loro vita, essi mostrano alle persone indifferenti o addirittura ostili la bellezza del Vangelo e della comunione in Cristo, e invitano noi credenti, spesso tiepidi, a vivere con gioia di fede, speranza e carità, a riscoprire il «gusto» della Parola di Dio e dei Sacramenti, in particolare del Pane di vita, l’Eucaristia. La chiamata alla santità ci deve spingere a guardare con umiltà alle nostre fragilità, anzi ai nostri peccati, personali e comunitari, che rappresentano un grande ostacolo all’evangelizzazione. Non si può parlare di evangelizzazione e missionarietà senza una disposizione sincera di conversione. Lasciarsi riconciliare con Dio e con il prossimo (cf 2Cor 5,20) è la via maestra di ogni evangelizzazione e di ogni missione; sarà anche la via maestra del nostro Sinodo della fede.

Carissimi, poniamo il V Sinodo della Chiesa di Trieste sotto la protezione materna della Beata Vergine Maria: con lei invochiamo una speciale effusione dello Spirito Santo, che illumini dall’alto i lavori sinodali e li renda fruttuosi per il cammino presente e futuro della Chiesa di Dio che è in Trieste.

+ Giampaolo Crepaldi

11 ottobre 2012 – Cattedrale di San Giusto

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