Domenica delle Palme e della Passione del Signore

DIOCESI DI TRIESTE

DOMENICA DELLE PALME

E DELLA PASSIONE DEL SIGNORE

+ Giampaolo Crepaldi

Arcivescovo-Vescovo

Cattedrale di San Giusto, 1 aprile 2012

 

 

Carissimi fratelli e sorelle in Cristo,

1.            Con la celebrazione delle Palme si apre la grande e santa settimana della passione, morte e risurrezione del Signore. La Settimana Santa è la sorgente di tutte le altre celebrazioni dell’anno. Tutte, infatti, si riferiscono al mistero della Pasqua da cui scaturisce la salvezza nostra e del mondo. Durante tutta la Quaresima abbiamo compiuto uno spirituale pellegrinaggio che ci ha portato fino a questa Domenica delle Palme. La nostra meta era Gerusalemme, e così la liturgia della Chiesa ci ha accompagnato perché fossimo pronti ad accogliere il mistero della morte e risurrezione di Gesù. Nei prossimi giorni siamo chiamati ad avvertire con particolare intensità la presenza di Gesù in mezzo a noi, per seguirLo da vicino, senza staccare i nostri occhi da Lui, perché dai suoi gesti apprendiamo il suo grande amore per tutti. Sì, dobbiamo tener fissi i nostri occhi sul volto di Gesù che accetta anche la morte, pur di salvarci. Gli occhi del Signore, affranti dal dolore ma sempre pieni di misericordia e di affetto, ci guarderanno come guardarono Pietro che pure lo aveva negato; e sentiremo nel profondo del nostro cuore un nodo di dolore e insieme di tenerezza. Possa ognuno di noi, in questi giorni, coltivare il dono delle lacrime come fece il primo degli apostoli nella notte nel Getsèmani perché, come lui, anche noi ci accostiamo nuovamente al Signore e iniziamo a seguirLo con un cuore nuovo.

2.            La prima lettura che è stata proclamata, presa dal profeta Isaia, ci dipinge la figura di un profeta incompreso, rifiutato e insultato. Ma, questo profeta si affida a Dio: “Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso” (Is, 50,7). Il profeta non è confuso dalle accuse, dalle calunnie e dagli insulti degli altri, perché Dio lo assiste. Nessuno può dichiararlo colpevole se Dio è il suo avvocato. La seconda lettura, presa dalla Lettera di San Paolo ai Filippesi, ci presenta Gesù Cristo che, pur essendo Figlio di Dio, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma assunse la condizione umana di servo per essere in tutto solidale con noi. Nella Sua kenosi, Gesù ha aperto il cuore alla grandezza dei desideri di Dio, si è totalmente fidato del Padre, ha atteso il trionfo che viene da lui. Ed è stato esaltato con la risurrezione. Il racconto della passione, secondo il Vangelo di Marco, è il ritratto di Gesù nel Getsèmani, solo e abbandonato. Possiamo definire il Getsèmani come la passione interiore del Messia, dove viene rivelato ciò che Egli ha provato nel suo animo. Nel racconto è dominante un movimento di separazione: Gesù si separa dai discepoli, poi da tre discepoli prediletti, infine resta solo. Nella prova Egli è solo di fronte al Padre. Lo invoca, ma anche il Padre sembra rimanere in silenzio. Cerca la compagnia dei discepoli, ma essi dormono. Gesù è veramente solo. Ma il punto centrale dell’episodio è la preghiera di Gesù al Padre. Al di là di tutto c’è un punto fermo: la consapevolezza del proprio rapporto filiale con Dio: Abbà! Padre!. È una consapevolezza che non viene mai meno, neppure nella prova. Ed è proprio qui che nasce l’implorazione: Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice!. Se Dio è Padre e può tutto, perché non sottrae alla prova? È questa la domanda spontanea dell’uomo, anche dell’uomo-Gesù. Ma dopo l’implorazione, ecco la fiducia rinnovata, l’abbandono senza riserve: Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu. E se all’inizio dell’episodio ci viene descritto un Gesù angosciato e impaurito, alla fine – dopo la preghiera – ci viene descritto un Gesù che ha ritrovato la serenità e la fermezza: Alzatevi, andiamo! Ecco colui che mi tradisce è vicino. Il Padre non ha sottratto Gesù alla Croce, ma lo ha aiutato ad attraversarla.

3.            Carissimi fratelli e sorelle, dopo la morte di Gesù, nello sconvolgimento della natura e in quel simbolico velo del tempio di Gerusalemme squarciato dall’alto verso il basso, solo una luce si accende, la luce della fede e della rivelazione che raggiunge un lontano, un pagano, un soldato: … Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!. Questo riconoscimento è già annuncio di Pasqua: la morte e il peccato sono vinti alla radice e l’uomo, pur nel dolore che lo accompagnerà ancora nell’arco dell’esistenza, non è più solo. Di fronte al Mistero grande del Dio crocifisso siamo chiamati a tener viva nel mondo la Presenza di Lui, morto e risorto per noi. Ecco quel che scriveva nel suo Diario Etty Hillesum, che visse il dramma inaudito della Shoah, e morì ad Auschwitz nel 1945: “Non mi faccio molte illusioni su come stiano le cose veramente … Sì, mio Dio, sembra che tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali, ma anch’esse fanno parte di questa vita. Io non chiamo in causa la tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi…L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica cosa che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio! E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini”.