In memoria dell’Arcivescovo Santin

DIOCESI DI TRIESTE

IN MEMORIA DELL’ARCIVESCOVO SANTIN

 

+ Giampaolo Crepaldi

Arcivescovo-Vescovo

17 marzo 2012

 

 

 

Cari fratelli e sorelle,

 

1.            Sono particolarmente lieto di essere qui con voi, in questa chiesa di Sion dove l’Arcivescovo mons. Santin, mio grande predecessore, nel periodo della sua quiescenza, veniva per celebrare le solennità cristiane con la comunità parrocchiale che Egli volle ed amò. In quest’anno, in cui la nostra Chiesa si appresta ad iniziare il Sinodo diocesano che segue quello che Lui indisse nel 1959 dopo la tragedia e le sofferenze morali subite dalle Genti giuliane, è doveroso per me, suo successore sulla cattedra tergestina, offrire una preghiera di suffragio ed un pensiero grato per il suo generoso e fedele ministero episcopale. Vorrei farlo con il ricordo inviato dall’Arcivescovo Mons. Loris Capovilla a Mons. Ettore Malnati che, oltre ad essere stato suo ultimo e fedele segretario, è colui che, in questi 31 anni, ha mantenuto viva la memoria dell’azione pastorale e della figura di Mons. Santin. Anch’io, prendendo sempre più consapevolezza della vita di questa Città e della nostra Chiesa, vengo a scoprire e a conoscere quanto ancor oggi tra i triestini in genere, tra gli Ebrei, tra gli esuli e tra il laicato colto, la figura del Vescovo Santin sia rimasta in benedizione. La sua partecipazione coscienziosa al Concilio Vaticano II e la sua equilibrata e saggia applicazione in Diocesi dicono il suo amore e fedeltà alla Chiesa nella linea della profezia e della tradizione.

 2.        Così scrive Mons. Capovilla, segretario del Beato Papa Giovanni XXIII:

L’arcivescovo Santin è l’uomo della tradizione illuminata in cammino verso le dilatate frontiere della evangelizzazione. Padre della città di San Giusto, martire nel 289, ebbe netta la coscienza di doverne ornare il sepolcro e coltivarne al tempo stesso il giardino, d’accordo anche in questo con Giovanni XXIII, suo contemporaneo ed amico, che ne stimava l‘intelligenza e ne apprezzava le virtù e le doti pastorali, avendone valutato le suggestioni e i suggerimenti (la riforma del Codice di diritto canonico, ad esempio, ebbe in lui un anticipatore); d’accordo, dico, col Papa, il quale affermava: “Noi siamo qui sulla terra non a custodire un museo, ma a coltivare un giardino fiorente di vita, riservato ad avvenire glorioso”.

           Ideatore del Santuario del Cuore Immacolato, zelò la devozione forte, biblicamente ispirata, di Maria Santissima; vescovo dei pescatori e dei naviganti, degli operai e degli esuli, non escluse mai nessuno dal suo grande cuore. Liturgo e catechista, permanentemente collocato tra il Libro e il Calice, amò con amore di predilezione il sacerdozio e i sacerdoti, ebbe caro il seminario come la pupilla dei suoi occhi. Vescovo della speranza concepì in piena bufera bellica, ed osò pubblicarla il 15 gennaio 1944, la lettera pastorale che reca in fronte nobilissima intestazione: “Dopo tanta notte, una nuova giornata deve spuntare”.

           La sua fede, alimentata ai fuochi del vangelo, gli ha aperto le porte della Casa del Padre; a noi apre il discorso sul da farsi adesso, su come comportarsi con le generazioni giovani e anziane, se arrenderci alla paura e al catastrofismo o invece se ripensare meglio i valori racchiusi nella tradizione, che deve essere alimentata e non spenta, e nell’aggiornamento che è insito al dovere di portare al mondo il vangelo di salvezza. L’interrogativo si pone in tutta la sua pregnanza particolarmente nelle odierne contingenze, nel momento stesso in cui riaffermiamo la nostra scelta di campo radicalmente religiosa, missionaria ed ecumenica, derivante dal versetto sette del capitolo dodici della prima lettera di Paolo ai Corinti: TUTTO PER LA GLORIA DI DIO E PER IL BENE COMUNE. Ripudio dunque della violenza e della sopraffazione, rispetto della dignità e dei diritti inviolabili della persona.

           A distanza di mezzo secolo, la voce autorevole del vescovo Antonio, riecheggiante dalla citata pastorale ammonisce ed incoraggia: “Anche la Quaresima 1944 trova il mondo martoriato dalla guerra e la nostra diocesi partecipe dell’universale tragedia.  Ma come in ogni regione il male comune assume espressioni particolari e distinte, così nella nostra terra esso ha caratteristiche e forme proprie. Tutti le conosciamo. Esse creano alla nostra gente una situazione piena di ansie, di sofferenze e di pericoli. Aspirazioni sociali, rivendicazioni nazionali, movimenti violenti che partendo da un presupposto di giustizia sboccano in mete e metodi ingiusti, sogni di dominio, esasperazioni tanto più cocenti quanto più contenute di fronte alla negazione di ogni legge e diritto umano, propositi feroci di vendette formano un’atmosfera solcata da correnti e sentimenti e avvampata da fiamme, nella quale si sta modellando il nuovo volto, che avrà domani la nostra regione. Ché innegabilmente il domani sarà ben diverso dal passato. Diverso non vuol dire migliore. Ma perché esso sia migliore è necessario che fin da ora gettiamo nell’arroventato crogiuolo elementi di verità, di giustizia, di equilibrio, senza dei quali, l’immane calvario di oggi cederebbe il posto a un ignominioso calvario di domani”. E’ una sinfonia a cinque tempi, attuale urgente impegnativa: spegnere orride vampe di odio.  Rientrare nell’ordine stabilito da Dio. Verità e Giustizia. Amore e Libertà. Incarnare il binomio proposto da Gesù: conversione e vangelo.

Dalla dimora celeste egli guarda il lembo di terra che si stende da Zaule a Miramare e dal Monte Grisa dove si gode beata visione di luce, ed auspica fedeltà e rinnovamento con parole di Papa Giovanni estratte dal radiomessaggio ai Triestini per la posa della prima pietra del Santuario a Maria madre e regina (19.XI.1959) e consente agli affascinati del TANTUM AURORA EST (11 ottobre 1962) di scorgere a longe le agognate frontiere della civiltà dell’amore:

“Si accendano di nuovo fervore le anime buone, si rinsaldino le deboli, ritornino a conversione le smarrite; attinga ciascuno alla sorgente divina, che è Gesù Cristo, figlio di Dio e di Maria, il segreto della vera felicità e della pace dell’anima, della forza nelle tentazioni, della rassegnazione nelle sofferenze; crescano i giovani, che tanto ci sono cari, nell’entusiasmo di santi ideali, e nella custodia delle loro robuste energie; alimentino le famiglie, la religiosità solida, la fede, il timor di Dio; brillino in tutti gli ordini della civile società le virtù cristiane, in particolare la probità, la rettitudine, il buon esempio. Così che tutta Trieste splenda come il Santuario costruito con pietre viventi, cioè fondata su cuori palpitanti di fede e di amore, per attirare le celesti benevolenze sulla diletta Italia” (Giovanni XXIII, DMC, IV, 438-441)[1].

3.         Cari fratelli e sorelle, sia la Chiesa tergestina – che si sta preparando al Sinodo diocesano, proprio con la data che ricorda il 50° del Concilio Vaticano II e l’apertura dell’Anno della fede indetto da Benedetto XVI – grembo fecondo di quei valori cristiani che hanno segnato il vivere delle Genti di queste terre, affinché Cristo possa continuare ad essere luce per una autentica civiltà dove la persona umana e la sua vita sia tutelata e promossa, nella continuità dell’insegnamento sicuro della Chiesa di cui il ministero episcopale dell’arcivescovo Santin fu testimonianza fedele.


[1] +Loris Francesco Capovilla, Arcivescovo di Mesembria. Sotto il Monte Giovanni XXIII, 5 marzo 2012