DIOCESI DI TRIESTE
SOLENNITA’ DI SAN GIUSTO MARTIRE
Indizione del V Sinodo Diocesano
+Giampaolo Crepaldi
Arcivescovo-Vescovo
Trieste, 3 novembre 2011
Eccellenza reverendissima, Eccellenza Sig. Prefetto. Sig. Sindaco, distinte Autorità civili e militari, cari presbiteri, fratelli e sorelle, bratje in sestre!
1. A riunirci in assemblea è oggi la festosa ricorrenza del Patrono San Giusto, che offrì la sua ancor giovane vita per testimoniare, fino al martirio, le ragioni della sua fede cristiana, consapevole della loro superiorità su qualsiasi altra ragione. Un esempio di fede che ha ammaestrato lungo i secoli il popolo cristiano di Trieste. Un esempio di fede che vale anche oggi per il suo esigente richiamo a non far sopravanzare nulla che oscuri il primato di Dio su tutto e su tutti. Il richiamo di San Giusto martire a dare soddisfazione all’urgente esigenza di mettere Dio al primo posto per toglierLo dall’emarginazione in cui lo ha confinato un secolarismo aggressivo e pervasivo, sarà anche il centro e il cuore del V Sinodo diocesano che ho avuto la gioia di indire nella solenne memoria del nostro Santo Patrono, e che inizierà i suoi passi il prossimo anno, l’11 di ottobre, nel 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, che la Chiesa universale ricorderà con un Anno della fede voluto dal nostro amatissimo papa Benedetto XVI. Sarà un evento di grazia che dovrà portare la nostra Chiesa diocesana verso la sorgente da cui promana ogni rinnovamento dei cuori e delle anime: l’Amore trinitario. L’amore gratuito di Dio per l’umanità si rivela, infatti, come amore sorgivo del Padre, da cui tutto proviene; come gratuita comunicazione che il Figlio fa di esso, ridonandosi al Padre e donandosi agli uomini; come sempre nuova fecondità dell’amore divino che lo Spirito Santo effonde nel cuore degli uomini (cfr. Rm 5,5). Con le parole e con le opere, e in modo pieno e definitivo con la Sua morte e la Sua risurrezione, Gesù Cristo ha rivelato all’umanità che Dio è Padre e che tutti siamo chiamati per grazia a diventare figli di Lui nello Spirito (cfr. Rm 8,15; Gal 4,6), e perciò fratelli e sorelle tra noi. È per questa ragione che la Chiesa crede fermamente che «la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana si trovano nel suo Signore e Maestro».
2. Se la sorgente del prossimo Sinodo sarà l’Amore trinitario, anche le inedite sfide pastorali che la Chiesa diocesana dovrà affrontare – difficoltà crescenti nella trasmissione del patrimonio della fede alle nuove generazioni, il rarefarsi di valori fondanti come quello della vita e il degrado di istituti essenziali come la famiglia, il venir meno della tenuta complessiva di un’ethos culturale condiviso in una società sempre più resa parcellizzata da individualismo e multiculturalismo – troveranno una loro pertinente e ordinata collocazione che consentirà un giudizioso discernimento e sapienti soluzioni. Si tratterà, in definitiva, di intraprendere insieme, con stile sinodale, il cammino di sempre, quello di annunciare l’Amore trinitario a tutti. Quando l’uomo è privato o si priva di quell’Amore – santo, liberante, salvifico, misericordioso, paterno, materno, fraterno e spirituale – entra in una pericolosa e dolorosa solitudine, ontologica ed esistenziale, che blocca il sensato dispiegarsi in pienezza della sua umanità personale e della sua socialità. Nonostante le innumerevoli e documentatissime tragedie nate a causa del distacco da Dio, l’uomo, ancora oggi, continua ad illudersi di potercela fare da solo. A me sembra che la grande sfida del prossimo Sinodo – che ha come titolo Permanetis in fide fundati et stabiles – sia questa: riaffermare, con convinzione e senza tentennamenti, l’indispensabilità di Cristo per un ogni vero umanesimo. Non si può chiedere al cristiano di rinunciare a questa pretesa della sua fede. Sarebbe come chiedergli di rinunciare a tutto. “Signore, da chi andremo? Solo tu hai parole di vita eterna”. Ci può essere un pieno umanesimo che non contempli il raggiungimento della vocazione umana nella sua completezza? Non si tratta di un qualcosa che, aggiungendosi, rende le cose migliori. Per il cristiano la fede in Gesù Cristo non è lo zucchero per addolcire la vita, ma è la vita stessa. Senza Gesù Cristo i conti non tornano in nessun campo, la realtà non viene nemmeno compresa e l’uomo non riesce neppure a sapere chi egli sia. Non esiste un documento del Magistero che affermi possibile un pieno umanesimo – anche semplicemente terreno – senza Cristo. Briciole se ne potranno certamente trovare qua e là. Ma solo il Signore è “vero uomo”, perché è “vero Dio”. Egli non è l’uomo ideale, kantianamente inteso, non è il modello migliore di uomo, ma è uomo vero e vero uomo. Né si può distinguere, su questo punto, se non capziosamente, il Magistero pre-conciliare da quello conciliare o post-conciliare. Il primato di Dio, la Signoria regale di Cristo, la ricapitolazione di tutte le cose nel Signore Gesù alla fine dei tempi sono punti fermi della dottrina cattolica che il V Sinodo diocesano riaffermerà per il bene della Chiesa e la salvezza delle anime.
3. L’annuncio e la preparazione del Sinodo hanno già messo in moto le tante realtà pastorali che compongono la nostra Chiesa diocesana. E’ anche questa una grazia speciale del Signore, che sta coltivando in tanti cristiani e in tante comunità, una esemplare volontà di intenti e di programmi a partire dalla Parola di Dio e dall’Eucaristia,. Questa disponibilità a fare spazio a Dio nella nostra vita e nella nostra città, sta già impreziosendo il giardino ecclesiale con fiori bellissimi. Essi preannunciano il tempo della primavera e della speranza. Sono i frutti consolanti dell’opus Dei, dell’opera di Dio e del Suo Spirito. Solo qualche richiamo per alimentare la comune fiducia nel futuro. Mentre a Trieste si consumava un orrendo omicidio di un giovane a cui la città ha dato la risposta della pietà cristiana e della condanna civile, 500 ragazzi cattolici di Trieste si sono dati appuntamento a Madrid per prendere parte, nella preghiera e nella condivisione amicale, alla GMG con Benedetto XVI. L’incontro con quei giovani mi ha convito a destinare alla loro coltivazione spirituale la chiesetta di San Rocco in Cavana, che sarà dedicata alla riconciliazione per essere scuola di preghiera e spazio educativo. Va registrato anche il forte impegno del laicato associato che sta ritrovando slancio nel lavoro della Consulta diocesana delle aggregazioni per preparare la Diocesi al Convegno ecclesiale di Aquileia2. Preziosissima si rivela la dedizione apostolica del Cammino neocatecumenale, del Rinnovamento dello Spirito e dell’Azione Cattolica rinnovata nei suoi quadri e nei suoi programmi. Una parola va spesa anche a proposito del fervore mariano che si registra in Diocesi. L’Associazione Mater civitatis ha già raccolto quasi 700 adesioni di persone che recitano quotidianamente il Rosario per il bene della Chiesa e della Città. Fervore destinato a crescere con la valorizzazione dei Santuari mariani e l’arrivo di due comunità religiose di spiritualità mariana – una femminile e una maschile – presso la parrocchia di Santa Maria Maggiore. Vogliamo ricordare anche l’impegno generosissimo di tante parrocchie, della San Vincenzo e, soprattutto, della Caritas per venire incontro ai poveri che, in numero crescente, si rivolgono alla Chiesa. Le quotidiane preoccupazioni per le tante domande provenienti dal mondo dei poveri sono state rese meno gravose da una pronta e sensibile attenzione dell’Amministrazione cittadina fin dall’avvio della gestione della realtà comunale. La nostra Caritas, proprio in questo Anno di preparazione al Sinodo dedicato all’Eucaristia, si sta impegnando a dar vita ad un Emporio della solidarietà, a cui tutta la Diocesi dovrà fornire un sostegno convinto e fattivo. Nel mese di dicembre prenderà avvio, in maniera ufficiale, la Stella maris quale servizio pastorale per i 70.000 marittimi che arrivano ogni anno nel porto di Trieste. Ricordo anche l’impegno missionario della Chiesa diocesana che porta sacerdoti, singoli cristiani e famiglie cattoliche ad annunciare il Vangelo del Signore dal Kenya alla Finlandia, dall’Australia alla Francia, dall’Equador alla Cina. Menziono anche l’impegno, mai banale o ambiguo, profuso sul fronte propriamente culturale con il Settimanale Vita Nuova, con le iniziative della Cattedra di San Giusto e con l’ospitalità offerta a eventi nazionali come la Settimana Liturgica. Ricordo anche la vivacità vocazionale che sperimenta la nostra Chiesa diocesana che, nei due Seminari, annovera più di 20 giovani in cammino verso il Sacerdozio. Una grazia straordinaria che ci consente di guardare al futuro con serenità. Per ultimo, desidero dire una parola sull’impegno delle nostre parrocchie che, sotto la guida sapiente dei loro presbiteri, stanno coltivando il valore sinodale della partecipazione comunitaria con l’istituzione, in quasi tutte, dei Consigli Pastorali Parrocchiali e con le celebrazioni annuali delle loro Assemblee decanali presiedute dal sottoscritto per preparare al meglio il prossimo Sinodo. Il Signore è stato ed è generoso con la nostra Chiesa. Di questo lo ringraziamo. E’ vero, non sono mancate e non mancheranno le croci, spesso dovute a un vociare mediatico che, a tutti i costi, vuol mettere in cattiva luce la Diocesi e il suo Pastore. Le croci quotidiane sono il destino del cristiano che il Padre celeste ha voluto sia inscritto nel suo capolavoro di amore e di perdono: Gesù Crocifisso. E con il suo martirio, San Giusto è lì a ricordarcelo continuamente.
4. Il Sinodo non lavorerà solo sulle tematiche dell’intra ecclesiale, ma anche su quelle dell’extra sociale e civile, seguendo le preziose indicazioni della Dottrina sociale della Chiesa. Lo dovrà fare anche per l’incalzare di una crisi – di civiltà, morale ed economico-sociale – durissima da sopportare e difficilissima da governare, che sta colpendo l’Occidente, l’Italia e che non risparmia la nostra città con la chiusura di esercizi commerciali e di fabbriche e che sta già compromettendo il lavoro e l’iniziativa imprenditoriale di tanti giovani e di tantissime famiglie, entrati in un pertugio sempre più stretto e disperante. Anche se la Chiesa non possiede le competenze specifiche per fornire una risposta alla domanda su come uscire dalla crisi, avverte tuttavia il dovere di indicare un orizzonte complessivo di valori che sono quelli del rispetto della persona e del lavoro, del bene comune, della giustizia e della solidarietà. Uscire dalla crisi comporterà, oltre all’incentivazione delle naturali vocazioni della nostra città per il turismo e la ricerca scientifica, l’adozione di un progetto complessivo di sviluppo di medio e lungo periodo che ne ridisegni strategicamente il ruolo propulsore in ambito regionale. Il tempo stringe, ma la città ha le forze per dare nuovo slancio al suo futuro con una lungimirante prospettiva di sviluppo: ha una classe politica capace e ancora credibile, ha un capitale straordinario di competenze professionali e manageriali, ha un cumulo unico di conoscenze scientifiche e tecniche, ha una società civile sana e vigile. Il carburante che fa funzionare una democrazia che crede e opera per lo sviluppo e per il bene comune non è una litigiosità perenne e inconcludente, ma l’amicizia civile. Se i personalismi politici, i litigi civili, gli egoismi di parte e i risentimenti storici faranno un passo indietro per far posto ad una volontà concorde nel voler disegnare una prospettiva e un progetto di sviluppo per il futuro della città, molto probabilmente la crisi potrà essere vinta e diventare perfino un’opportunità. Sarebbe un’incalcolabile tragedia se – per culto del particolare o per miopia culturale o per un deficit di intelligenza delle dimensioni radicali e rivoluzionarie della crisi attuale – la città – e Trieste è ancora una città e tale deve rimanere – la si lasciasse priva di tale prospettiva e progetto. Il rischio è che – lentamente, ma inesorabilmente – diventi un ameno paesotto della nostra Regione. Una simile eventualità va assolutamente scongiurata, stigmatizzando ogni rassegnazione che, al punto in cui siamo, risulterebbe ingiustificata e colpevole.
5. L’icona che accompagnerà tutto il cammino sinodale sarà l’immagine della Madonna, la Mater Dei, che troviamo nel mosaico della cappella qui accanto. Collocata sopra i dodici Apostoli, La si può ammirare nell’atto di generare di nuovo il Signore Gesù per quanti cercano un ancoraggio di fede e di speranza per la loro esistenza. Così dovrà essere la nostra Chiesa: radicata nella tradizione apostolica e sempre pronta a donare il Signore Gesù, l’uomo nuovo che ci consente di vivere e crescere nella verità e nella carità. La Vergine Maria, che il nostro popolo onora e venera con affettuosa devozione, sarà fulgida stella di consolazione e speranza per il cammino della Chiesa e dell’intera Città di S. Giusto!