Essere preti a Trieste

ESSERE PRETI A TRIESTE

LETTERA DEL VESCOVO

 

L’impegnativa eredità del Sinodo diocesano

1.      Carissimi fratelli nel Sacerdozio, la nostra Chiesa diocesana, dopo i tre anni di lavoro sinodale, sta ora vivendo il delicato ed entusiasmante impegno della traduzione in consapevolezza, prassi pastorale e vissuto esistenziale di quanto il Sinodo Diocesano ha elaborato. L’esperienza della Visita Pastorale ha poi reso maggiormente percepito il rapporto tra Vescovo, presbiteri e comunità parrocchiali permettendomi di conoscere meglio ciascuno di voi, le comunità che vi sono affidate e il prezioso lavoro pastorale che voi presbiteri svolgete a servizio del Popolo di Dio nelle diverse realtà ecclesiali tergestine. La Visita Pastorale ci ha resi più prossimi e ci lascia in eredità una più profonda consapevolezza del legame ecclesiale Vescovo-presbiteri-comunità ecclesiali.

2.      Quando la Visita Pastorale volgeva al termine e già si era programmata la Settimana Eucaristica Diocesana culminante nella solennità del Corpus Domini, la pandemia da Covid-19 ha travolto e stravolto tutto. Abbiamo vissuto mesi difficili segnati dalla paura e dalla sospensione delle attività pastorali, abbiamo celebrato la Santa Messa senza popolo, abbiamo dovuto rimandare cresime, matrimoni, prime comunioni, abbiamo festeggiato la Risurrezione del Signore in una surreale solitudine, con le chiese vuote e i fedeli chiusi in casa.

3.      Vi raggiungo ora con questa mia Lettera, quando pare poterci avviare verso una ritrovata parziale normalità anche nella vita ecclesiale, per condividere con voi i frutti del Sinodo Diocesano circa l’essere presbiteri della Chiesa che è in Trieste. L’identità ontologico-sacramentale del presbitero è patrimonio immutabile della Dottrina di Fede come il Concilio Ecumenico Vaticano II ci ha sapientemente ricordato. Questa identità cattolica del presbitero deve però declinarsi nella concretezza d’una Chiesa particolare che, come quella tergestina, presenta non pochi tratti di originalità frutto di storia e geografia d’un territorio di confine (tra popoli e lingue, prima ancora che tra Stati). Ecco allora il senso di questa mia Lettera: pensare il presbitero cattolico nella realtà concreta della Diocesi di Trieste oggi.

Appartenere ad un unico presbiterio

4.      Carissimi presbiteri, con l’ordinazione sacerdotale avete ricevuto un carattere indelebile che vi rende partecipi dell’Unico Sacerdozio di Cristo Capo e Pastore. Questo dono dal valore infinito è dono per il servizio ministeriale e mai può essere vissuto egoisticamente o solipsisticamente. L’ordinazione fa di ciascun presbitero il membro del corpo sacerdotale che è il presbiterio guidato dal Vescovo. Questa appartenenza al presbiterio diocesano sotto la guida del Vescovo deve essere costantemente rinnovata anche attraverso la partecipazione viva e zelante agli avvenimenti diocesani presieduti o promossi dal Vescovo, ai ritiri mensili, agli incontri decanali, alle giornate di aggiornamento del clero. È nella Liturgia che questa comunione si esprime nella sua forma più alta concelebrando alla Santa Messa Crismale, partecipando alla celebrazione del Corpus Domini, concelebrando con il Vescovo la Messa esequiale per i confratelli defunti.

5.      Questa realtà ontologico-sacramentale deve tradursi anche esistenzialmente in una solida consapevolezza che «in virtù della comune sacra ordinazione e della missione tutti i presbiteri sono fra loro legati da un’intima fraternità, che deve spontaneamente e volentieri manifestarsi nel mutuo aiuto spirituale e materiale, pastorale e personale, nelle diverse riunioni e nella comunione di vita, di lavoro e di carità» (LG, 28).
La diocesanità del presbitero presuppone e invera la sua cattolicità come appartenenza all’Unica Chiesa di Cristo, una per fede, sacramenti e governo, di cui la Diocesi è realtà territoriale. Nella universalità cattolica del Sacerdozio ordinato trovano il loro fondamento quelle luminose espressioni di generosità presbiterale e di aiuto fraterno tra Chiese particolari che sono i preti fidei donum e i presbiteri diocesani missionari.

6.      Ugualmente forte deve essere la consapevolezza che nessuno è prete per se stesso e che l’essere presbiteri significa essere collaboratori del Vescovo che guida la Chiesa diocesana e il suo presbiterio. Al Vescovo si è promesso filiale rispetto e obbedienza non per le sue qualità umane, ma perché successore degli Apostoli chiamato ad essere padre e pastore d’una Chiesa particolare. Solo in una prospettiva di fede è possibile al presbitero vivere in pienezza questa relazione di filiale obbedienza con il Vescovo come relazione d’amore con Cristo nella persona del Vescovo.
In questa prospettiva di fede ogni presbitero deve avere con il Vescovo un rapporto aperto, filiale e sincero. Non l’affettazione e la lusinga, ma la schiettezza e la sincerità devono caratterizzare il dialogo tra presbiteri e Vescovo, dialogo che non di rado si fa aiuto concreto al servizio del Vescovo nella sua missione attraverso consigli fraterni e semplici manifestazioni di affetto filiale.
Accogliere con fede le decisioni del Vescovo e accompagnarlo sempre, nella sua missione pastorale, con la preghiera è espressione di vero animo presbiterale.

7.      La nostra Chiesa tergestina, a causa di vicende storico-etniche, ha conosciuto e in parte ancora conosce divisioni e lacerazioni sin dentro il presbiterio. Le divisioni storiche tra esuli istriani, sloveni, italiani e altri ancora, sono ferite aperte nel cuore di Trieste. Certamente molti passi sono stati fatti per ricercare la comunione e la Chiesa di Trieste non può cessare di favorire l’unità nelle diversità.
Abbiamo fatto molti passi ma per essere coerenti con il Vangelo dobbiamo riconoscere che ne mancano ancora molti per vivere in pienezza ciò che Cristo ci chiede anche riguardo l’unità.
Quello che può essere motivo di divisione, in verità è, nella unità cattolica dell’essere Chiesa, formidabile ricchezza nella pluralità delle lingue, delle etnie, delle culture, delle identità storiche che a Trieste da secoli si incontrano. E il presbiterio diocesano non può che esprimere questa ricchezza e valorizzarla nella unità della fede.

8.      Non solo le diversità etnico-linguistiche interpellano il prudente esercizio del ministero pastorale ma anche le diversità di ministero e carisma nella comunità ecclesiale richiedono prudenza e saggezza nel discernimento e nella capacità di unità.
I diversi ministeri e carismi non devono essere motivo di divisione o di contrapposizione ma ricchezza di un corpo ecclesiale costituito da molte membra unite dalla stessa fede e nella comune carità e guidate dal Vescovo. L’unità che ogni presbitero è impegnato a costruire nel popolo cristiano deve essere cementata nel presbiterio diocesano attorno al Vescovo.

9.      L’unità e la comunione sempre da desiderare, ricercare e costruire non possono fiorire nella comunità cristiana se prima non sono fiorite nel presbiterio. L’unità nella comunione presbiterale è necessaria alla missione stessa della Chiesa. Cominciamo con il pregare assieme e gli uni per gli altri, non poniamo ostacoli all’azione dello Spirito così da riuscire ad abbattere le barriere etniche, linguistiche, culturali, ideologiche e caratteriali che impediscono la comunione. Pregare assieme tra presbiteri dovrebbe diventare sempre più la norma tanto più nelle occasioni in cui siamo chiamati a riunirci: pregare assieme come unico Presbiterio per tutta la Diocesi.
Quando non è possibile riunire l’intero presbiterio, non manchi però mai la preghiera comune dei presbiteri che condividono la stessa dimora o lo stesso impegno pastorale. La Liturgia delle Ore, la preghiera del Santo Rosario, l’Adorazione Eucaristica possono essere preziosissima espressione di comunione se due o più presbiteri vi attendono assieme unendosi in comune orazione per la Chiesa.

Una seria vita spirituale

10.      Carissimi presbiteri, per vivere fedelmente la chiamata ricevuta da Cristo, come suoi ministri, come testimoni e annunciatori della fede, come uomini di comunione è indispensabile che ogni presbitero coltivi una seria vita spirituale ovvero quella vita soprannaturale di grazia che il dono dello Spirito Santo ricevuto nel battesimo ha fatto nascere nell’anima. Ogni cristiano deve collaborare con lo Spirito Santo per conformarsi sempre più a Cristo, anche noi Sacerdoti dobbiamo collaborare con lo Spirito Santo per essere conformati sempre più a Cristo. Ma in ragione dell’Ordine Sacro la nostra cooperazione con lo Spirito Santo, la nostra conformazione a Cristo si dà nella carità pastorale che è l’amore oblativo di Cristo Buon Pastore per la Sua Chiesa.
L’amore di Cristo per la Chiesa deve essere il nostro stesso amore per il gregge affidatoci. Il presbitero si santifica vivendo la carità pastorale che lo conduce a spendersi senza risparmio e gratuitamente per il Popolo santo di Dio. Ecco allora che lo zelo pastorale per le anime, la cura paterna della comunità, la preghiera costante a Dio per tutti i fedeli è la via di santità del presbitero.

11.      Essere conformi a Cristo Buon Pastore non è impresa umana, necessita la grazia, l’intervento diretto di Dio nella vita del presbitero. La grazia sacramentale è ciò che opera in noi ma noi non dobbiamo porvi ostacolo, anzi dobbiamo cooperare alla sua azione. La vita del presbitero deve dunque essere una vita di continua conversione a Cristo maturata nella preghiera, nell’attento esame della propria coscienza, nella meditazione della Parola di Dio, nella frequente Confessione sacramentale, nella quotidiana Eucaristia.
È importante che ogni presbitero coltivi con grande cura la propria vita spirituale accostandosi con frequenza al Sacramento della Riconciliazione, ricevendo con puntualità la direzione spirituale, profittando di ritiri ed esercizi spirituali, coltivando una vita di preghiera intensa e fervorosa, celebrando l’Eucaristia con devozione e amore, nel rispetto delle norme liturgiche.

12.      La vita spirituale d’un presbitero passa attraverso il suo rapporto con le persone e con le cose, rapporto che deve sempre essere mosso dalla carità pastorale.
L’amore per Gesù Cristo deve essere il fondamento di tutta la vita e l’agire del presbitero così che il suo amore per la comunità e le singole persone che incontra sarà sempre un amore casto e disinteressato. Amore che si traduce in zelo per la salvezza delle anime, capacità di ascolto, pazienza, fedeltà e riservatezza.
Anche in relazione ai beni materiali deve guidarci la carità pastorale ovvero i beni materiali debbono essere sempre vissuti come un mezzo per il fine che è il bene della Chiesa. La tentazione di cadere in una mentalità consumistica sino all’esito estremo dell’idolatria, della ricchezza materiale che prende il posto di Dio nel cuore, è sempre in agguato. La tentazione di considerare necessario il superfluo è ancor più insidiosa.
Il presbitero, il cui modello è Cristo Buon Pastore, deve invece coltivare un sano distacco dai beni materiali, l’evangelica povertà in spirito, allenandosi a rinunciare al superfluo, condividendo con i poveri, amministrando con onestà e senza alcun tornaconto personale i beni della comunità.

La fraternità sacerdotale

13.      Carissimi presbiteri, la vita d’un prete in cura d’anime è vita spesa per la comunità (parrocchiale o non). Quando due o più presbiteri sono posti a cura d’una comunità, la prima testimonianza che rendono ai fedeli è la comunione che manifestano tra loro. Due o più presbiteri che vivono e lavorano assieme come buoni fratelli danno forte e convincente testimonianza subito notata dai fedeli che vedono la comunione presbiterale con piacere ed edificazione.
La strada per una felice comunione presbiterale è l’umiltà, il sapersi limitati e fragili, il riconoscere d’aver bisogno di aiuto e perdono. L’umiltà conduce il presbitero a legarsi sempre più a Cristo e ad avere misericordia verso i fedeli affidatigli e verso i confratelli.
È facile tra confratelli sparlare e cadere in giudizi temerari, maldicenze e cattiverie. Non diamo ascolto e credito alle chiacchiere, ai pettegolezzi. Cerchiamo piuttosto di avvicinare il confratello che vive qualche difficoltà per essergli d’aiuto. Parliamo con lui senza moralismi, facciamogli sentire il nostro amore fraterno e la nostra vicinanza. Preghiamo per lui e con lui. È così che si cementa l’unità presbiterale e si aiuta il confratello.
Quando la gravità della situazione lo richieda non si manchi di parlare al Vescovo dei confratelli che vivono particolari situazioni di difficoltà e disagio.

14.      La carità si esprime in una particolare sensibilità verso i confratelli malati, anziani o in crisi. Ogni presbitero sia verso di loro amorevole e premuroso come Gesù. Quando un confratello lascia questo mondo, pregare per la sua anima e partecipare al funerale è dovere di carità presbiterale.
Il ministero ordinato accomuna tutti i presbiteri tuttavia molte e diverse sono le condizioni esistenziali date dall’età, dalla salute, dalla psicologia, dall’incarico ricevuto, etc.
In una Diocesi compongono il presbiterio preti giovani e anziani, sani e malati, entusiasti e in crisi, con impegni in parrocchia o in Curia, etc. Diverse, anche molto diverse, sono quindi le concrete condizioni di vita dei diversi presbiteri della Diocesi. A tutti è chiesto di vivere la carità pastorale in conformazione a Gesù Buon Pastore ma a ciascuno è chiesto di vivere ciò secondo le concrete condizioni personali di età, salute, ufficio, etc.

15.      Ai presbiteri giovani dico di essere umili chiedendo spesso il consiglio a presbiteri di esperienza, chiedo di non essere maldicenti o rassegnati, ma sinceri e spontanei.
Cari preti giovani, non perdete il vostro entusiasmo giovanile se troverete qualche confratello deluso che vi scoraggerà. Non rinunciate a comunicare agli altri presbiteri le vostre prime soddisfazioni pastorali e le prime sconfitte e delusioni.

16.      Ai presbiteri anziani per età dico di non scordare mai di rendere continuamente grazie a Dio per l’essere Sacerdoti. Ciò non permetterà che sorga in voi l’amarezza. Non di nostalgia si deve vivere, ma di zelo per il bene da fare oggi. La Diocesi e tutto il presbiterio hanno bisogno delle vostre preghiere, della vostra esperienza e della vostra serenità.
Cari preti anziani d’età, non tiratevi indietro se avete ancora forze per servire il Popolo santo di Dio, non sentitevi mai di peso solo perché non riuscite più ad essere attivi come un tempo. Ogni stagione dà i suoi frutti e l’anzianità ha frutti non meno preziosi della gioventù.

17.      Vi sono poi presbiteri, non dobbiamo nascondercelo, che vivono momenti di crisi e di disagio anche gravi. A questi fratelli sofferenti, delusi e amareggiati dico di non scandalizzarsi per la propria fragilità.
Figli carissimi, non abbiate paura e non chiudetevi in voi stessi pensando di farcela da soli. Oltre alla preghiera è necessario farsi accompagnare dal proprio padre spirituale. Ricorrete con frequenza e fiducia al consiglio d’un Sacerdote anziano ed esperto, lasciatevi aiutare dagli amici veri e seri. Non abbiate riserve a ricorrere anche all’aiuto di qualche esperto psicologo di provata serietà e fede.
Non vivete la crisi da soli, non nascondetevi dai confratelli e dal Vescovo. Il Vescovo è chiamato a vivere la sua paternità nei riguardi dei presbiteri specialmente quando fragili e in difficoltà.

Preti con e per gli altri

18.      Nella nostra Diocesi ricca è la presenza di religiosi e di movimenti ecclesiali. Tutto ciò costituisce una preziosa opportunità per la vita ecclesiale di Trieste che anche i presbiteri debbono saper cogliere profittando del molto di buono che si può imparare dai diversi carismi religiosi e laicali. Non sono pochi i presbiteri diocesani che vivono il carisma di un particolare movimento o associazione ecclesiale, d’un particolare cammino di fede o d’una particolare tradizione spirituale religiosa traendo da ciò grande giovamento per la propria vita di fede e per la propria azione pastorale. La saggezza del pastore d’anime si esercita anche sapendo trarre frutti pastorali dall’arricchimento personale legato ad un particolare carisma senza tuttavia sclerotizzare la propria azione presbiterale alla esclusività d’una proposta particolare. L’unità e la comunione nell’unico presbiterio deve sempre essere custodita sapendo coniugare diversità di carisma e comune cooperazione al bene della comunità diocesana.
Questo comune impegno al bene della Chiesa è concretamente vissuto dalla maggioranza dei presbiteri diocesani nell’impegno pastorale in parrocchia. Sono le parrocchie il luogo concreto della carità pastorale dei presbiteri diocesani. Ecco allora l’importanza di vivere bene in parrocchia, di essere preti con il cuore di Cristo nella concretezza della quotidianità parrocchiale.

19.      Nella nostra Diocesi è rara la possibilità di avere in parrocchia più d’un presbitero che vivano assieme. Tuttavia la vita in comune dei presbiteri nella comunità parrocchiale resta una scelta di grande valore e da incentivare. Chi già vive questa dimensione di comunità presbiterale in canonica si impegni a farne sempre più espressione di vera fraternità sacerdotale, considerando la presenza degli altri presbiteri della comunità come un dono di Dio. Ciò richiede una continua conversione in quanto la vita comune non è semplice e, se non affrontata con maturità umana e solidità spirituale, può troppo spesso degenerare in liti, incomprensioni e rapporti non fraterni.
La vita in comune dei presbiteri deve invece essere vita fraterna tale da diventare vera testimonianza che edifica i fedeli. Non manchi mai nelle parrocchie un quotidiano tempo di preghiera comune dove i presbiteri della parrocchia innalzino a Dio una concorde orazione. La preghiera comune dei presbiteri quando vissuta in presenza dei parrocchiani diviene anche efficace testimonianza di comunione per il popolo di Dio.

20.      La fraternità del vivere assieme dei Sacerdoti che compongono la comunità presbiterale parrocchiale non annulla le diverse responsabilità che derivano dall’ufficio ricevuto dal Vescovo, anzi per una ordinata vita di comunità è necessario che ognuno adempia al proprio dovere con zelo nella diversità dei ruoli di servizio.

a) Chi è parroco deve avere ben chiara la propria responsabilità di pastore rispetto al popolo fedele e alla eventuale comunità presbiterale parrocchiale. Compito del parroco è promuovere la vita comune con gli altri preti in servizio in parrocchia assicurando un ambiente decoroso, accogliente e sereno, coltivando uno stile familiare, intessendo con i confratelli un rapporto cordiale, semplice e aperto.

Sia assicurato ogni giorno almeno un pasto comune, come in famiglia, così che i presbiteri in servizio in parrocchia possano riunirsi attorno alla tavola per dialogare e confrontarsi.

b) La casa canonica deve essere la casa dei presbiteri che formano la comunità sacerdotale della parrocchia, il luogo dove i Sacerdoti possono riposare, conversare tra loro, pregare assieme in un clima informale e familiare. Nessun laico, neppure nessun parente del parroco o di altro Sacerdote, abiti stabilmente nella casa canonica.

c) Se tra i preti affidati alla guida d’un parroco vi è un presbitero di giovane età, il parroco sia per lui un fratello maggiore, ne abbia cura con discrezione e lo guidi nella vita pastorale. Ci sia, da parte del parroco, la massima attenzione affinché il giovane prete non si scoraggi di fronte alle prime difficoltà.

d) Il vicario parrocchiale, che solitamente è anche un prete di giovane età, profitti dell’esperienza del parroco, si lasci guidare e consigliare, accolga con gratitudine le indicazioni che il parroco vorrà dargli.

Il vicario parrocchiale chieda quotidianamente l’umiltà di Cristo per accogliere e seguire le indicazioni, i consigli e anche le critiche e i rimproveri che gli vengono rivolti dal parroco. Sia sempre sincero con il parroco e non si risparmi nell’adempiere ai propri doveri, anzi prevenga il parroco nell’accollarsi spontaneamente i pesi comuni.

21.      La vita presbiterale non è un lavoro a tempo limitato ma a tempo pieno: parroco, vicario e preti collaboratori devono tutti spendersi interamente e senza risparmio per il bene delle anime servendo la comunità ecclesiale. Segno di questa totalità di impegno e dedizione è anche l’abito che distingue il presbitero dai laici rendendo visibile a tutti il suo essere tutto e totalmente di Cristo. Sono così a ricordare a tutti voi presbiteri il dovere che abbiamo di essere sempre riconoscibili come Sacerdoti vestendo in ogni tempo e circostanza l’«abito ecclesiastico» (CIC, can. 284).

Relazioni con i diaconi e i fedeli laici

22.      Alcune comunità parrocchiali hanno la grazia di beneficiare del servizio prezioso di un diacono permanente, inoltre i diaconi permanenti svolgono in Diocesi importanti e delicati compiti pastorali. Sia sempre cura dei presbiteri riservare ai diaconi permanenti stima e fraterno affetto.
Carissimi presbiteri, non dimenticate mai che i diaconi sono ministri sacri che, con il Sacramento dell’Ordine, hanno ricevuto il carisma della diaconia della Parola, della liturgia e della carità per servire in persona Christi il Popolo santo di Dio. Riservate dunque loro il rispetto e l’onore che si deve a dei ministri di Dio. Abbiate inoltre paterna attenzione per la famiglia del diacono, tenete sempre conto dei suoi impegni familiari e lavorativi, mostrategli gratitudine e riconoscenza per il servizio che svolge.

23.      In ogni comunità ecclesiale i fedeli laici sono l’oggetto delle attenzioni pastorali del presbitero ma anche i preziosi collaboratori del presbitero. I fedeli laici, in forza del battesimo, hanno il sacrosanto diritto ad essere istruiti nella fede, accompagnati nella vita cristiana, sostenuti con la preghiera dai presbiteri, ma hanno anche in se stessi la vocazione all’apostolato, ad essere collaboratori nell’annuncio del Vangelo. Ecco allora che il presbitero deve sempre saper considerare il fedele laico come la pecorella da pascere con il cibo divino dei Sacramenti e della Parola, ma anche come il fratello nella fede con cui condividere lo zelo apostolico di evangelizzazione.
Un rapporto sincero e cordiale tra presbitero e laici sarà di grande aiuto per vivere in comunione e collaborare tutti assieme al bene della Chiesa.
È importante che il presbitero sappia formare e accompagnare i fedeli laici affinché assumano sempre più la propria responsabilità ecclesiale nella pluralità dei carismi e dei ministeri. Uno dei compiti del presbitero è quello di scoprire, suscitare, far crescere e discernere vocazioni e disponibilità ai diversi ministeri laicali.

24.      Segno della vitalità d’una comunità ecclesiale sono certamente le vocazioni riconosciute e coltivate, quelle laicali e quelle sacerdotali e religiose. Il presbitero ha il dovere di pregare per le vocazioni e di sensibilizzare i fedeli a questa specifica intenzione di preghiera. Ogni Sacerdote in cura d’anime chieda fervorosamente a Dio la grazia di veder nascere nella propria comunità e di saper discernere, coltivare e guidare sante vocazioni di consacrazione a Dio. Non c’è frutto più prezioso in una comunità ecclesiale che la risposta generosa di quelle anime che accorrono alla chiamata di Dio consacrandosi interamente a Lui nel Sacerdozio o nella vita religiosa. Ogni presbitero abbia così la massima attenzione per la pastorale vocazionale.

25.      Uno dei compiti più delicati d’un pastore è quello di saper creare comunione e unità tra i diversi carismi presenti nel Popolo di Dio. Movimenti, associazioni e gruppi ecclesiali costituiscono una ricchezza portando ciascuna realtà il proprio particolare carisma quale contributo alla vita ecclesiale.
Il pastore d’anime deve essere mediatore e padre che non fa favoritismi e non pretende di imporre la propria personale sensibilità all’intera comunità, ma che piuttosto sa valorizzare tutte le diverse espressioni della fede cattolica presenti nella comunità. I doni dello Spirito non possono essere soffocati, né il presbitero può permettersi di rifiutare ciò che il discernimento della Chiesa ha già approvato. Cercare di spegnere carismi già approvati dalla Chiesa, oltre che manifestazione di arroganza spirituale, è grave colpa per il pastore che così facendo arreca non piccolo danno alla comunità ecclesiale.

26.      Il presbitero non deve impegnare l’autorevolezza che gli deriva dall’essere Sacerdote di Cristo per imporre arbitrariamente i propri gusti o le proprie personali convinzioni riguardo la vita ecclesiale e tantomeno riguardo la vita culturale e politica.
È legittimo e anzi doveroso che ogni presbitero si interroghi sulle questioni della politica e della vita sociale impegnandosi a comprendere fenomeni e processi in atto alla luce della Verità che non muta, non è assolutamente legittimo invece che un presbitero strumentalizzi il proprio ufficio pastorale per favorire questo o quel partito politico, per propagandare questa o quella ideologia. Si vigili sempre affinché non si dia mai la pur minima commistione tra vita parrocchiale e iniziative di partito o comunque di propaganda politica.
Il presbitero sia, invece, un buon conoscitore della Dottrina sociale della Chiesa e alla luce di questa e solo di questa sappia suggerire ai fedeli i criteri cattolici per giudicare le cose della vita sociale, economica e politica.
Il pastore non è padrone della comunità ecclesiale ma servitore il cui unico fine deve essere il bene delle anime da condurre a Cristo.

27.      L’amore del presbitero per le persone che incontra deve sempre essere amore disinteressato e casto. Il Sacerdote deve fare innamorare le persone di Dio e non di se stesso, deve far crescere i fedeli nella libertà dei figli di Dio, evitando di generare qualunque dipendenza psicologica dalla sua persona. Il prete non deve legare le anime dei fedeli a sé, deve invece portarle a Dio senza trattenere nulla per sé. Le relazioni interpersonali d’un presbitero devono sempre essere limpide e caste, mosse da un amore celibe capace di donarsi in modo libero e maturo.

28.      Espressione di partecipazione laicale alla vita della parrocchia sono certamente il Consiglio pastorale parrocchiale e il Consiglio per gli affari economici che non devono essere considerati come meri adempimenti burocratici ma, piuttosto, come espressione effettiva di partecipazione ecclesiale.
Anche a livello sovra-parrocchiale vi sono realtà di comunione che devono essere vissute da ogni presbitero come ricchezza di cui beneficiare per una sempre più riuscita unità nella vita diocesana: i decanati e gli organismi diocesani.

29.      Nella Chiesa ogni istituzione, ufficio, mansione, ogni attività o relazione è, per sua natura, servizio: servizio ai fratelli per il bene delle anime, per l’instaurazione del Regno. E tutto deve essere così vissuto, in spirito di servizio: la Curia e gli organismi diocesani, i decanati, le relazioni tra parroco e vicario, tra confratelli del presbiterio diocesano, tra preti e diaconi, tra preti e fedeli laici, i Consigli pastorali e degli affari economici, movimenti e gruppi ecclesiali, tutto deve essere ordinato, in una logica di servizio, alla salvezza delle anime, al bene della Chiesa. È compito del presbitero vivere ogni relazione, ogni ufficio e ogni istituzione con questo spirito e insegnare al gregge che gli è affidato a fare altrettanto.

In unione di preghiera

30.      Carissimi fratelli nel Sacerdozio, ringraziandovi per il vostro prezioso servizio, per aver cooperato generosamente con me nella missione affidatami di pascere la Chiesa che è in Trieste vi affido tutti e ciascuno alla preghiera celeste del nostro beato martire don Francesco Bonifacio, esempio sacerdotale di eroismo cristiano nell’amore per Dio e le anime e di fedeltà a Cristo in tempo di persecuzione, e invoco sul presbiterio tergestino la materna protezione di Maria Santissima Madre della Chiesa.

A tutti assicuro la mia preghiera e benedizione.

✠ Giampaolo Crepaldi

Trieste, 8 settembre 2020, Festa della Natività di Maria