La prima serata del ciclo della Cattedra di San Giusto quaresimale sul tema “Tempo di testimoni”, si è aperta con una riflessione in musica sul primo testimone che è nostro Signore Gesù Cristo, contemplato nel momento supremo della sua vita e cioè la sua Passione. Dal supremo atto di testimonianza si passa con la seconda serata ad ascoltare chi con la sua vita ha voluto e saputo rendere testimonianza al Cristo della Croce. Perseguitato per la sua fede, il card. Ernest Simoni fu incarcerato, dal Natale del 1963 fino al 1990, dal regime comunista dell’Albania proclamatasi “primo Stato ateo al mondo”. Il card. Simoni, mercoledì 7 marzo, alle ore 20.30, nella Cattedrale di San Giusto, parlerà sul tema “La testimonianza della fede”. Proponiamo un estratto della sua biografia e un brano di un articolo di Andrea Tornielli per La Stampa.
Il Cardinale Ernest Simoni, Presbitero dell’Arcidiocesi di Shkodrë-Pult (Scutari – Albania), è nato a Scutari il 18 ottobre 1928. dopo le scuole regolari ha frequentato il liceo del Collegio francescano Illiricum. Ordinato sacerdote l’8 aprile 1956, per oltre sette anni ha guidato le parrocchie di Kabash, Pukë, Kukël, Gocaj, Barbullush, Mal i Jushit, Torovicë e Sumë. Un’esperienza che ne ha formato il carattere e il dinamismo pastorale, tanto che ancora oggi, nonostante l’età, continua a girare nei villaggi dell’Albania per svolgere la sua missione, in particolare nelle parrocchie di Barbullush e di Trush, a Fushë Arrëz.
Considerato un “nemico del popolo” ai tempi della dittatura comunista di Enver Hoxha, è stato arrestato nella notte di Natale del 1963, mentre celebrava la messa a Barbullush, e confinato in una cella d’isolamento con una condanna a diciotto anni. Ai suoi compagni di prigionia gli aguzzini hanno ordinato di registrare la sua “prevedibile rabbia” contro il regime, ma dalla bocca del sacerdote sono uscite sempre e solo parole di perdono e di preghiera. È arrivata puntuale anche la condanna a morte, ma la sua pena è stata commutata in venticinque anni di lavori forzati nelle gallerie buie delle miniere di Spac e poi nelle fogne di Scutari.
Anche in questa drammatica situazione non ha perso la fede e non ha mai interrotto il suo ministero sacerdotale. È persino riuscito a celebrare ogni giorno di nascosto la messa e ha confessato gli altri carcerati, divenendo padre spirituale di alcuni di loro e distribuendo anche la comunione, con un’ostia cotta di nascosto su piccoli fornelli, mentre per il vino ha fatto ricorso al succo dei chicchi d’uva.
È stato definitivamente liberato il 5 settembre 1990. Appena fuori dal carcere, ha confermato il perdono ai suoi aguzzini, invocando per loro la misericordia del Padre. La sua nomina cardinalizia, ha tenuto a precisare, è un riconoscimento per tutti i martiri e i cattolici perseguitati nella sua terra.
Da Papa Francesco creato e pubblicato Cardinale nel Concistoro del 19 novembre 2016, della Diaconia di Santa Maria della Scala.
Ecco alcuni passaggi dell’articolo di Tornielli con alcuni stralci del racconto fatto al Papa dal prete Cardinale. «Mi dissero: tu sarai impiccato come nemico perché hai detto al popolo che moriremo tutti per Cristo se è necessario». Lo avevano torturato, accusato di aver detto una messa di suffragio per l’anima del presidente Kennedy morto un mese prima, che «io celebrai secondo le indicazioni date da Paolo VI a tutti i sacerdoti del mondo». Nella cella d’isolamento portarono un suo amico col compito di spiarlo, e siccome don Ernest continuava a dire che «Gesù ha insegnato ad amare i nemici e a perdonarli, e che noi dobbiamo impegnarci per il bene del popolo», la pena di morte gli fu commutata ai lavori forzati.
«Durante il periodo di prigionia, ho celebrato la messa in latino a memoria, così come ho confessato e distribuito la comunione di nascosto». Nei primi anni di lavori forzati, il sacerdote doveva spaccare le pietre estratte da una cava con una mazza di ferro pesante una ventina di chili. Poi, nella miniera di Spaç, scendeva in gallerie buie scavate nella montagna; di quel periodo ricorda le punizioni: «Una delle più dolorose era quella di colpire ripetutamente i talloni con i manganelli».
Ma quel prete non aveva rinunciato all’annuncio del Vangelo. «Celebravo la messa tutti i giorni, a memoria, in latino, sfruttando ciò che avevo a disposizione». (…) Addirittura diventa il padre spirituale di molti carcerati. Sapeva che rischiava la vita, ma ripeteva: «Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Quante volte ho recitato questo Salmo…». «Con la venuta della libertà religiosa – aveva concluso il sacerdote – il Signore mi ha aiutato a servire tanti villaggi e a riconciliare molte persone in vendetta con la croce di Cristo, allontanando l’odio e il diavolo dai cuori degli uomini».
Papa Francesco lo aveva ascoltato in silenzio. Poi quando l’anziano sacerdote che ha trascorso 27 anni ai lavori forzati si era inginocchiato davanti a lui, lo aveva risollevato, aveva messo la sua fronte sulla sua fronte e lo aveva abbracciato a lungo, stringendolo a sé. Aveva pianto Papa Bergoglio, anche se non voleva non darlo a vedere e prima di girarsi nuovamente verso i sacerdoti e le religiose che si stringevano attorno a lui nella cattedrale di Tirana, si era tolto gli occhiali asciugandosi gli occhi.
«Davvero sentire parlare un martire del proprio martirio è forte – aveva detto poco dopo il Papa ai giornalisti sul volo che da Tirana lo riporta a Roma – credo che eravamo tutti commossi per questi testimoni che parlavano con naturalezza e con un’umiltà e sembravano quasi raccontare le storie della vita di un altro». La storia di don Ernest Simoni è raccontata nel libro «Dai lavori forzati all’incontro con Francesco», scritto dal giornalista Mimmo Muolo e pubblicato dalle Edizioni Paoline.