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Giovedì santo | Messa in Coena Domini

DIOCESI DI TRIESTE

Santa Messa in Coena Domini

+ Giampaolo Crepaldi

Cattedrale di San Giusto, 24 marzo 2016 – Giovedì santo

 

Carissimi fratelli e sorelle,

1.         Con questa Celebrazione eucaristica, prende avvio il Triduo pasquale, i tre giorni che, con il ricordo della passione della morte e della risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, ci conducono al nucleo essenziale e centrale della nostra fede cristiana. Sono i tre giorni che costituiscono il fulcro di tutto l’anno liturgico, come anche della vita di ogni cristiano e della Chiesa. Per questo santo triduo, la Chiesa ci invita ad approfondire il senso e il valore della nostra vocazione che scaturisce dal Mistero pasquale per renderla concreta ogni giorno nella fedele sequela di Gesù. Per questo Giovedì santo, in modo particolare, la Chiesa ci invita a fare grata e devota memoria di tre grandi doni che Gesù ci ha fatto: il dono dell’Eucaristia – la Messa che stiamo celebrando si chiama “nella cena del Signore” e ci fa rivivere i momenti principali dell’istituzione di questo sacramento -; il dono del sacerdozio – questa mattina, qui in Cattedrale, i sacerdoti hanno rinnovato davanti al Vescovo le promesse fatte al momento della loro ordinazione -; il dono della carità, intesa come servizio ai fratelli, espresso nel gesto della lavanda dei piedi che vedrà per la prima volta la partecipazione anche di alcune donne, a significare il coinvolgimento di tutto il popolo di Dio.

2.         Carissimi fratelli e sorelle, nella seconda lettura che ci è stata proposta, san Paolo ci istruisce che i sacramenti, che oggi noi celebriamo, sono doni di grazia del Signore che, nell’esercizio della tradizione apostolica, sono stati trasmessi per l’edificazione delle generazioni future di cristiani. Scrive san Paolo: Fratelli io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso (1Cor 11,23). In modo particolare, san Paolo indica come oggetto di questa trasmissione due sacramenti essenziali per la nostra vita cristiana ed ecclesiale. In primo luogo, il sacramento dell’Eucaristia: quello che Gesù ha fatto nell’ultima Cena lo ha trasmesso agli Apostoli e ai loro successori che, nella celebrazione della Messa, donano a tutti il Corpo stesso di Cristo, come pane spezzato e il Sangue di Cristo, come vino versato. L’Eucaristia è il vero Corpo di Cristo, è il vero Sangue di Cristo dato a noi, come vero cibo e vera bevanda, che nutre e disseta l’anima e rafforza tutta la nostra vita cristiana diventando allo stesso tempo pegno sicuro della vita eterna. Dunque l’Eucaristia è dono inestimabile, al punto di far dire a S. Cirillo di Gerusalemme, che con “Essa diventiamo con corporei e consanguinei di Cristo”. In secondo luogo, il sacramento del sacerdozio: cioè l’esercizio degli stessi poteri di Cristo Gesù a favore del nuovo popolo di Dio, la Chiesa. Prendendo a prestito le parole della Lettera agli Ebrei, del sacerdozio cattolico possiamo affermare questo: Ogni sommo sacerdote, scelto tra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. In tal modo egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anch’egli rivestito di debolezza, a motivo della quale, deve offrire anche per se stesso sacrifici per i peccati, come per il popolo. Nessuno può attribuirsi questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne (Eb 5,1-4).

3.         Carissimi fratelli sorelle, durante la sua ultima cena, consapevole della tragica fine che avrebbe fatto, Gesù, con la lavanda dei piedi ai suoi discepoli, insegna che l’amore come dono totale di sé è il termine giusto per comprendere la sua persona e la sua missione terrena. Lui, Dio e Signore di tutto, compie il gesto del servizio più umile, che nella società di quel tempo era assegnato agli schiavi. Così facendo, egli vuole insegnare ai discepoli, a ciascuno di noi, che l’amore è la cifra riassuntiva ed espressiva della vita cristiana. Commovente la sequenza dei gesti di Gesù: si alza da tavola, depone le sue vesti, prende la brocca, si cinge con l’asciugatoio, versa l’acqua nel catino, lava i piedi dei discepoli e li asciuga. Si comprende la reazione di Pietro: Signore, tu lavi i piedi a me?… Pronta la risposta di Gesù: Se non ti laverò, non avrai parte con me; che significa: se non ti laverò non diventerai capace di amare come io amo, non diventerai capace di servire come io sono venuto a servire, non diventerai capace di lavare i piedi ai tuoi fratelli, di purificarli, di servire i tuoi fratelli fino a dare la tua vita per loro. Pietro allora si arrende. Anche noi, come Pietro, dobbiamo arrenderci all’amore di Gesù, all’amore per Gesù, alla carità che ci ha insegnato a coltivare tra di noi e verso tutti.