DIOCESI DI TRIESTE
+ Giampaolo Crepaldi
Arcivescovo – Vescovo di Trieste
MESSAGGIO PER L’AVVENTO 2015
IL GIUBILEO DELLA MISERICORDIA
DEUS MEUS, MISERICORDIA MEA
Ai presbiteri, ai diaconi, ai religiosi e alle religiose, ai laici consacrati, ai fratelli e alle sorelle della Chiesa che è in Trieste, “grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo” (Fil 1,2).
Il Giubileo della misericordia
1. L’11 di aprile di quest’anno, Papa Francesco, con la Bolla Misericordiae vultus, ha indetto un Giubileo straordinario della misericordia, che avrà il suo inizio con l’apertura della Porta santa nella Basilica di San Pietro il prossimo 8 di dicembre nella Solennità dell’Immacolata Concezione di Maria e la sua conclusione il 20 di novembre 2016 in occasione della Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo. Con l’indizione di questo straordinario evento di grazia spirituale, il Santo Padre ci invita a riscoprire e a fare tesoro della misericordia del Signore. Scrive nella Bolla: “Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato”[1]. In queste dense affermazioni, possiamo percepire che il tema della misericordia non è qualcosa di secondario o di accessorio nel contesto dell’esperienza cristiana; esso piuttosto indica il cuore stesso dell’essere e dell’agire di Dio per come si rivela nella lettura attenta e devota della Sacra Scrittura e costituisce, di conseguenza, l’elemento essenziale che forma la Chiesa e la sua azione pastorale, protesa a realizzare il progetto di Dio di portare a salvezza le anime di tutti gli uomini, nessuno escluso.
2. La misericordia si configura come una vocazione, una chiamata che Dio Padre ci rivolge ad abbandonare le strade del peccato, strade che ci allontanano dal suo amore premuroso, per riprendere il cammino del ritorno a Lui sempre in attesa e sempre pronto a fare festa quando ci decidiamo di abbandonarci al suo abbraccio paterno. Abbraccio di misericordia e di consolazione; abbraccio di salvezza che ci conforma a Cristo, il Figlio amatissimo del Padre; abbraccio reso ricco dai doni sovrabbondanti della Sua Parola di Vita e dei Suoi sacramenti, soprattutto quelli della Riconciliazione e dell’Eucaristia, dove, quasi in modo palpabile, tocchiamo con mano il Suo perdono e la Sua comunione. In questa maniera siamo resi figli nel Figlio, animati ormai dal Suo Spirito Santo capace, se accolto e lasciato libero di lavorare, di scacciare tutti gli altri spiriti, soprattutto quelli mondani e peccaminosi che spesso ci rovinano e ci rubano il senso dell’esistenza e ci tolgono la gioia del vivere. Un anno di grazia divina, un anno di grazia trinitaria, un anno speciale per ritornare al Padre celeste attraverso il Figlio suo Gesù Cristo nello Spirito Santo. Un anno di rinnovamento delle anime, di rinnovamento della Chiesa, di rinnovamento dell’umanità stessa. E tale sarà il Giubileo se da parte di tutti e in tutti sarà chiara la consapevolezza che tutto quello che verrà organizzato e sperimentato partirà sempre dal riconoscimento di fede che la fonte è l’Amore Trinitario, cuore di ogni misericordia. Il rischio di sopraffare il Giubileo con una miriade di iniziative, tutte lodevoli ma divergenti dal centro, è reale. Non sarà il nostro fare a salvarci e a migliorarci, ma sempre e solo la nostra disponibilità a fare spazio in noi al fare del Padre celeste, alla Sua grazia, alla Sua misericordiosa iniziativa per come, nella sua volontà di amore, ha preso corpo e sostanza nei misteri santi dell’incarnazione, della morte e risurrezione del Figlio Gesù e continua nel tempo della Chiesa ad essere elargita con azione potente dal Suo Spirito.
3. Papa Francesco, con felice e innovativa intuizione, ha deciso che il Giubileo sia vissuto non solo a Roma, ma in tutte le Diocesi del mondo. A questo riguardo, scrive il Santo Padre: “Nella stessa domenica stabilisco che in ogni Chiesa particolare, nella Cattedrale che è la Chiesa Madre per tutti i fedeli, oppure nella Concattedrale o in una chiesa di speciale significato, si apra per tutto l’Anno Santo una uguale Porta della Misericordia. A scelta dell’Ordinario, essa potrà essere aperta anche nei Santuari, mete di tanti pellegrini, che in questi luoghi sacri spesso sono toccati nel cuore dalla grazia e trovano la via della conversione. Ogni Chiesa particolare, quindi, sarà direttamente coinvolta a vivere questo Anno Santo come un momento straordinario di grazia e di rinnovamento spirituale. Il Giubileo, pertanto, sarà celebrato a Roma così come nelle Chiese particolari quale segno visibile della comunione di tutta la Chiesa”[2]. Anche la nostra Cattedrale avrà la sua Porta della Misericordia che avremo la gioia di aprire il prossimo 13 di dicembre. E per la nostra Chiesa l’apertura di quella Porta sarà come il primo banco di prova del lavoro appena concluso, dopo tre anni, del Sinodo diocesano, che è stato una significativa e illuminante esperienza di comunione e di corresponsabilità ecclesiale. Collegato al Giubileo, il Sinodo, con le sue istanze di profondo rinnovamento spirituale e pastorale, si inscrive dentro l’ampio orizzonte della vita della Chiesa universale. In questo modo, il Sinodo ha nell’indizione dell’Anno Giubilare una sua prima proiezione pastorale. L’aver riflettuto per tre anni sulla fede – annunciata, celebrata e testimoniata – si rivela ora come la promettente premessa che apre la nostra Chiesa diocesana ad accogliere la grazia della misericordia divina e, nello stesso tempo, a farsi evangelizzatrice e missionaria della stessa grazia. In questa salutare prospettiva spirituale la Chiesa di Trieste sarà segno e sacramento della misericordia divina.
La misericordia del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo
4. Per affrontare al meglio l’evento giubilare sarà bene, con umiltà e dedizione, riservare un po’ del nostro tempo a meditare quello che la Bibbia ci dice sul tema della misericordia. Per i più volonterosi sono a segnalare l’iniziativa promossa per quest’anno dal Centro Biblico Diocesano, guidato da don Antonio Bortuzzo, che ha messo a punto uno stimolante programma di approfondimenti e di catechesi bibliche sul tema della misericordia. In questo breve documento non è possibile fornire un riscontro esauriente degli insegnamenti biblici, ma solo qualche spunto offerto con l’auspicio che possa invogliare e incoraggiare altri e più distesi approfondimenti. Tutti questi insegnamenti concordano su un punto: essi non intendono arricchire il nostro bagaglio di conoscenze e di idee sulla spiritualità o la teologia della misericordia, ma soprattutto farci entrare in una feconda relazione con le tre persone della santissima Trinità, con l’Amore Trinitario. Misericordia, infatti, implica sempre una relazione, perché il nostro Dio è un Dio comunità, una comunità di relazioni caratterizzate dall’amore e dalla misericordia.
5. Misericordia comporta una relazione con il Padre celeste, che di essa ne è la fonte e l’origine. L’apostolo Paolo lo esprime bene in un passo della seconda Lettera ai Corinzi: “Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione!” (1,3); e in un altro passo della Lettera ai Romani dove si sottolinea che la vita morale del cristiano si ottiene mediante l’imitazione della misericordia di Dio: “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale” (12,1). A dare valore e spessore a queste illuminanti affermazioni dell’Apostolo Paolo è bene andare ad alcuni testi dell’Antico Testamento che hanno alimentato lungo i secoli la vita spirituale di innumerevoli generazioni di cristiani[3]. Il primo testo è il versetto 18 del salmo 58(59): “O mia forza a te voglio cantare, perché tu sei, o Dio, la mia difesa: mio Dio, tu sei la mia misericordia” (in latino: Deus meus, misericordia mea). Si tratta di un testo che contiene un’affermazione singolare: non si dice che Dio è misericordioso nei miei confronti, ma che Dio è la mia misericordia. Significa, cioè, che ciò che io sono dipende da Dio; significa che il mio Dio è la mia misericordia, è il mio essere, è l’origine del mio essere, perché io derivo da un atto di amore misericordioso e io esisto per un atto di amore misericordioso. Il secondo testo è il salmo 135(136), chiamato il grande Hallel pasquale. E’ quella famosa litania con cui il gruppo dei fedeli risponde sempre nello stesso modo al ricordo delle opere di Dio: Perché eterna è la tua misericordia, (in latino: quia in aeternum misericordia eius). Abbiamo qui a che fare con uno dei ritornelli lirici di preghiera più frequente nella Bibbia, proprio perché gli antichi Israeliti avevano maturato questa straordinaria idea: l’essenza di Dio è la misericordia. E avevano maturato la convinzione che la misericordia di Dio si realizza nella creazione e nella redenzione, nella natura e nella storia.
Concludo questa prima rassegna con alcune immagini che, nell’Antico Testamento, mettono in evidenza la misericordia di Dio. Dio è misericordioso come un padre che si abbassa per prendere il bambino piccolo e sollevarlo alla guancia per dargli da mangiare (cfr. Os 11); Dio è come uno sposo: “Come una donna abbandonata e con l’animo afflitto, ti ha richiamata il Signore. Viene forse ripudiata la donna sposata in gioventù? – dice il tuo Dio. Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti raccoglierò con immenso amore” (Is, 54,6-7); Dio è come un pastore che va a cercare una per una le sue pecore, soprattutto quelle deboli, quelle malate … (cfr. Ez 34); Dio è presentato come l’amico: è il grande tema che attraversa tutto il libro di Giobbe, dove, nonostante tutto, Dio viene scoperto come amico, vicino e sicuro. Per ultimo una citazione presa dal libro delle Lamentazioni. Il profeta, in un momento di disgrazia, afferma: “Le misericordie di Dio non sono finite” (3,22). Anche noi possiamo fare la stessa affermazione: contemplare la creazione e la storia della salvezza significa ricordarci che questa opera non è finita, ma che noi vi siamo pienamente inseriti.
6. Misericordia comporta una relazione con Gesù Cristo il Figlio del Padre celeste. L’autore della Lettera agli Ebrei ce ne offre i termini più stimolanti: “Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo” (2,17). In questo testo Gesù è presentato come sacerdote. Proprio perché il sacerdote è relativo a due realtà, gli uomini e Dio, deve avere le qualità che lo abilitino a essere in relazione con Dio e con l’umanità. A delineare queste qualità, la Lettera agli Ebrei usa due aggettivi che applica a Gesù: misericordioso e degno di fede. Nell’esercizio del suo sacerdozio, quindi, Gesù è l’uomo che ama veramente Dio, ma Gesù è anche Dio che ama veramente l’uomo. Nella sua persona l’incontro è avvenuto, ed è un incontro di amore e di misericordia. “Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno” (Eb 4,16). Questa la conclusione dell’Autore della Lettera agli Ebrei: visto che Gesù è così, accostiamoci tranquillamente e troveremo misericordia e saremo aiutati. In quanto sacerdote, mediatore tra Dio e l’uomo, Gesù partecipa della vita dei fratelli, ne condivide le esperienze e, quindi, li sa compatire: patisce insieme con loro. L’incarnazione di Gesù e la sua nascita sono considerate come eventi di misericordia. Nel Magnificat, la Vergine Maria canta: “… di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono” (Lc 1,50); e poi: “Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia” (Lc 1,54). Così anche nel Benedictus, Zaccaria canta la misericordia: “Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri e si è ricordato della sua santa alleanza” (Lc 1,72); e ancora: “Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio, ci visiterà un sole che sorge dall’alto …” (Lc 1,78).
Numerosissimi i testi del Vangeli che presentano la persona di Gesù, le sue parole e le sue azioni, soprattutto miracolose, che richiamano il tema della misericordia. Mi limito qui a un testo del Vangelo di Matteo dove Gesù, dopo aver chiamato Matteo il pubblicano, condivide un pasto con un gruppo di peccatori. Di fronte a questo fatto i suoi discepoli vengono avvicinati dai farisei, i quali, non avendo il coraggio di rimproverare direttamente Gesù, criticano il Maestro attraverso i discepoli: “Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?” (9,11). Gesù li sente e interviene direttamente, facendo suo un famoso testo del profeta Osea: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori” (9,12-13). In questo testo, Gesù ci insegna che misericordia è accorgersi dell’altro che ha bisogno. Gesù stesso è la misericordia di Dio perché si accorge dei peccatori e li considera malati, e opera perché guariscano. Misericordia significa quindi la capacità di mettersi nei panni dell’altro, la capacità di entrare nella situazione dell’altra persona e di dar valore alla persona.
Altri testi evangelici che illuminano il tema della misericordia sono quelli che vedono per protagonisti i malati che si rivolgono a Gesù con il Kyrie eleison – Signore abbi misericordia! Così si esprimono i due ciechi (Mt 9,27), la madre della bambina indemoniata (Mt 15,22), il padre del ragazzo lunatico (Mt 17,15), i dieci lebbrosi (Lc 17,13), il cieco di Gerico con ripetuta insistenza (Mt 20,30.31; Mc 1047.48; Lc 18,38.39). Alla supplica dei malati Gesù interviene concedendo loro la misericordia, cioè la guarigione. Il peccatore, infatti, è considerato da Gesù come un malato da curare: la guarigione dei malati diventa segno esterno dell’opera che Gesù compie all’interno. Egli guarisce i corpi per significare la sua opera di guarigione profonda di tutta la persona (cfr. Mc 2,1-12). Il gesto che Gesù compie sui malati è segno della misericordia, perché la misericordia che Gesù compie nei confronti degli uomini è il perdono dei peccati.
Per chiudere questa brevissima rassegna, è bene soffermarsi su alcuni insegnamenti presenti nel Vangelo di Luca. L’Evangelista, dopo averci presentato Dio come fonte e modello di misericordia – “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (6,36) -, ci illustra il tema della compassione divina, come viscere di misericordia. Si tratta di tre testi. Il primo parla della vedova di Naim. Gesù, avendo visto la donna, “fu preso da grande compassione per lei” (7,13), sentì misericordia materna e risuscitò il figlio. Il secondo è quello del buon samaritano. Avendo visto il poveruomo in quelle condizioni, il viandante “ne ebbe compassione” (10,33), provò misericordia e lo aiutò. Il terzo è il padre misericordioso nella parabola del figliol prodigo. Mentre il ribelle sta tornando a casa, il padre lo vide e “ebbe compassione” (15,20), si sentì muovere le viscere, gli corse incontro, lo abbracciò e lo accolse con gioia. In questi brani del Vangelo di Luca possiamo individuare anche un percorso pedagogico alla misericordia. In tutti tre i brani ha un posto rilevante il vedere. Possiamo dire che la misericordia inizia con gli occhi, inizia quando vedo l’altro e mi accorgo che ha bisogno. Questo è il primo passo. Il secondo ci impegna a passare dagli occhi al cuore, o alle viscere: oltre ad accorgermi del bisogno altrui, provo compassione, sono disposto a soffrire con lui, desidero condividere la sua situazione. Il terzo ci invita a passare dalla compassione all’azione e all’aiuto del fratello che vive nel bisogno. Così si è comportato Gesù: si è accorto di noi, ha avuto compassione di noi, ci ha aiutato realmente.
7. Misericordia comporta una relazione con lo Spirito Santo. Per comprendere bene questa relazione è bene fermarsi a contemplare il momento della morte di Gesù. In quel momento Gesù consegna il Suo Spirito. L’Evangelista Giovanni ci informa che Gesù “consegnò lo spirito” (19,20). L’ultimo respiro di Gesù, l’esalazione della sua vita è la consegna dello Spirito Santo. In questo modo noi diciamo che Gesù ha dato la vita. L’espressione ha due significati: Gesù dà la vita in quanto muore per noi, Gesù dà la vita in quanto fa vivere. La morte di Gesù coincide con la comunicazione della sua vita. La vita di Gesù viene persa da Gesù, ma non viene sprecata, non viene buttata via. La vita passa da Gesù al mondo: è il dono dello Spirito. La morte di Gesù coincide con la vita del mondo: dalla croce nasce la vita. Allora comprendiamo bene che, se dalla croce viene lo Spirito e lo Spirito è colui che ci mette in comunione con Dio facendoci figli di Dio e ci rende capaci di misericordia, noi possiamo giustamente dire che nella croce di Gesù troviamo la fonte inesauribile della misericordia divina. Usando il linguaggio liturgico, possiamo affermare che la festa di Pasqua e la festa di Pentecoste sono strettamente unite, tanto che nel Vangelo di Giovanni viene espressamente affermato che il dono dello Spirito giunge dal Cristo risorto il giorno di Pasqua: “La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati” (Gv 20,19-23).
In alcuni brani autobiografici, l’Apostolo Paolo ci illustra l’opera di trasformazione dello Spirito Santo. Nella Prima Lettera a Timoteo scrive: “Rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede” (1Tm 1,12-13). Poco oltre continua: “Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna” (1,16). Paolo è un esempio concreto di cristiano che riconosce di avere ottenuto misericordia, di essere stato trasformato da Dio. Lo Spirito è l’artefice essenziale che ci fa entrare in comunione con Dio; è sempre Lui che ci fa fare il primo passo. Abbiamo ricevuto lo Spirito, siamo stati vivificati, siamo stati trasformati, siamo stati messi in comunicazione con Dio: tutto questo è aver ricevuto misericordia, tutto questo è abilitazione alla vita di misericordia. Ma, dal momento che siamo stati oggetto di misericordia, possiamo essere soggetto di misericordia. Viviamo la misericordia, facciamo la misericordia perché Dio ha fatto con noi misericordia. Partendo dall’esperienza forte e autentica dello Spirito che lavora in noi, colmandoci dell’amore di Dio, noi possiamo agire con misericordia. “… l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5) e “se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito” (Gal 5,25). “Camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne” (Gal 5,16). La vita dello Spirito è la realtà della nostra esistenza cristiana. La nostra vita di misericordia è una conseguenza del fatto che Dio misericordioso ci ha trattato con misericordia. Avendo, quindi, fatto questa esperienza del Padre, del Figlio e dello Spirito, noi possiamo vivere la sua misericordia.
Peccato, riconciliazione sacramentale, indulgenza e opere buone
8. La riscoperta della misericordia esige che si rafforzi la coscienza del peccato, che della misericordia divina è il correlato umano. Quando si affievolisce la consapevolezza di una condizione di peccato viene meno anche l’apprezzamento del valore della misericordia sia in chi la domanda e la riceve sia in chi la dispensa in nome e su mandato di Dio. E, in questo modo, si vanifica l’amore misericordioso del Padre celeste che ha inviato nel mondo il suo unico Figlio per liberarci dal male e renderci felici nella verità. Se con la sola ragione e la sola libertà avessimo potuto liberarci dal peccato e vivere nella verità, “mestier non era parturir Maria”, afferma Dante nel Purgatorio (III,39). L’accoglienza della sua misericordia esige da parte nostra il riconoscimento delle nostre colpe. “Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità” (1Gv 1,8-9). La stessa cosa viene affermata da san Paolo: “dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia”. La grazia però, per compiere la sua opera, deve svelare il peccato per convertire il nostro cuore e accordarci “la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore” (Rm 5,20-21). Come un medico che esamina la piaga prima di medicarla, Dio, con la sua Parola e il suo Spirito, getta una viva luce sul peccato. Il peccato è una mancanza contro la ragione, la verità, la retta coscienza; è una trasgressione in ordine all’amore vero, verso Dio e verso il prossimo, a causa di un perverso attaccamento a certi beni. Esso ferisce la natura dell’uomo e attenta alla solidarietà umana. È stato definito “una parola, un atto o un desiderio contrari alla legge eterna”[4]. Il peccato è un’offesa a Dio: “Contro di te, contro te solo ho peccato. Quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto” (Sal 51,6 ). Il peccato si erge contro l’amore di Dio per noi e allontana da esso i nostri cuori. Come il primo peccato, è una disobbedienza, una ribellione contro Dio, a causa della volontà di diventare “come Dio” (Gen 3,5), conoscendo e determinando il bene e il male. Il peccato pertanto è “amore di sé fino al disprezzo di Dio”[5]. Per tale orgogliosa esaltazione di sé, il peccato è diametralmente opposto all’obbedienza di Gesù, che realizza la salvezza (cfr. Fil 2,6-9).
Il peccato, in definitiva è la mancanza di amicizia con Dio, è il nostro vuoto esistenziale, è la nostra incapacità di vivere come Dio vuole, di arrivare alla meta, di incontrare Dio, di conoscerlo e di amarlo. Se comprendiamo il peccato in questa ottica, comprendiamo anche che la misericordia di Dio è la grandezza che riempie il nostro vuoto, è la forza che abilita la nostra debolezza.
Nel linguaggio parabolico utilizzato da Gesù, possiamo dire che ognuno di noi è debitore di migliaia di miliardi verso il buon Dio, cioè abbiamo un debito impagabile. Nessuno di noi può pagare il debito che ha con Dio. Ma la misericordia di Dio si manifesta proprio in questo dono, in questo condono, in questo perdono: “Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito” (Mt 18,27). Perdonato, l’uomo può vivere in pienezza la beatitudine della misericordia: “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia” (Mt 5,7).
9. Per il Giubileo della misericordia, per goderne fino in fondo i frutti, si dovrà riscoprire e accostare con maggior frequenza il sacramento della confessione. Infatti, i peccati commessi dopo il Battesimo vengono perdonati con il Sacramento della Confessione che così si rivela come il “luogo” dove si manifestano i grandi miracoli della misericordia di Dio. A questo riguardo Santa Faustina Kowalska, l’apostola della Divina Misericordia, scrisse pagine memorabili: “Scrivi, parla della Mia Misericordia. Dì alle anime dove debbono cercare le consolazioni cioè nel tribunale della Misericordia, lì avvengono i più grandi miracoli che si ripetono continuamente. Per ottenere questo miracolo non occorre fare pellegrinaggi in terre lontane né celebrare solenni riti esteriori, ma basta mettersi con fede ai piedi di un Mio rappresentante e confessargli la propria miseria ed il miracolo della Divina Misericordia si manifesterà in tutta la sua pienezza. Anche se un’anima fosse in decomposizione come un cadavere ed umanamente non ci fosse alcuna possibilità di risurrezione e tutto fosse perduto, non sarebbe così per Dio: un miracolo della Divina Misericordia risusciterà quest’anima in tutta la sua pienezza. Infelici coloro che non approfittano di questo miracolo della Divina Misericordia! Lo invocherete invano, quando sarà troppo tardi!”[6]. Ancora: “Figlia, quando vai alla Confessione, sappi che Io stesso ti aspetto in confessionale, Mi copro soltanto dietro il sacerdote, ma sono Io che opero nell’anima. Lì la miseria dell’anima s’incontra col Dio della Misericordia. Dì alle anime che da questa sorgente della Misericordia possono attingere le grazie unicamente col recipiente della fiducia. Se la loro fiducia sarà grande, la Mia generosità non avrà limiti. I rivoli della Mia grazia inondano le anime umili. I superbi sono sempre nell’indigenza e nella miseria, poiché la Mia grazia si allontana da loro e va verso le anime umili”[7].
Per il prossimo Giubileo, desidero quindi indicare a tutti ed a ciascuno l’importanza e la conseguente urgenza pastorale di riscoprire il Sacramento della Riconciliazione, sia come penitenti, sia come ministri. E’ necessario tornare al confessionale, come luogo nel quale celebrare il Sacramento della Riconciliazione, ma anche come luogo in cui “abitare” più spesso, per trovare misericordia, consiglio e conforto, sentirsi amato e compreso da Dio. Mi rivolgo in particolare ai sacerdoti: accanto alla quotidiana celebrazione dell’Eucaristia, la disponibilità all’ascolto delle confessioni sacramentali, all’accoglienza dei penitenti e, dove richiesto, all’accompagnamento spirituale, sono la reale misura della carità pastorale del sacerdote. Egli è ministro, cioè servo e insieme prudente amministratore della divina misericordia. A lui è affidata la gravissima responsabilità di “rimettere o ritenere i peccati” (cfr. Gv 20,23); attraverso di lui, i fedeli possono vivere, nell’oggi della Chiesa, per la forza dello Spirito, che è Signore e dà la vita, la gioiosa esperienza del figliol prodigo, il quale, tornato nella casa del padre per vile interesse e come schiavo, viene accolto e ricostituito nella propria dignità filiale.
10. Durante il Giubileo avremo modo di ricevere la grazia dell’indulgenza. Sappiamo che con questa grazia ci viene offerta la possibilità di cancellare una parte ben precisa delle conseguenze di un peccato, chiamata pena temporale. Quindi per indulgenza viene significata la remissione parziale o totale delle pene comunque maturate con i peccati già perdonati da Dio con la confessione. Per ottenere una indulgenza plenaria o parziale un cristiano, completamente distaccato dal peccato, deve seguire questo preciso itinerario: confessarsi, per ottenere il perdono dei peccati; fare la comunione eucaristica, per essere spiritualmente unito a Cristo; pregare secondo le intenzioni del Papa, per rafforzare il legame con la Chiesa; compiere delle opere buone a cui è annessa l’indulgenza. Papa Francesco nella Bolla Misericordiae vultus ci offre il quadro più adeguato per capire l’indulgenza giubilare, affermando che “Vivere dunque l’indulgenza nell’Anno Santo significa accostarsi alla misericordia del Padre con la certezza che il suo perdono si estende su tutta la vita del credente. Indulgenza è sperimentare la santità della Chiesa che partecipa a tutti i benefici della redenzione di Cristo, perché il perdono sia esteso fino alle estreme conseguenze a cui giunge l’amore di Dio. Viviamo intensamente il Giubileo chiedendo al Padre il perdono dei peccati e l’estensione della sua indulgenza misericordiosa”[8].
11. I frutti spirituali del Giubileo saranno autentici se si tradurranno in opere concrete di misericordia e di carità corporali e spirituali. Nel libro del Deuteronomio troviamo scritto: “I bisognosi non mancheranno mai nel paese; perciò io ti do questo comando e ti dico: Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nel tuo paese” (Dt 15,11). Gesù fa sua questa parola: “I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me” (Gv 12,8 ). Non vanifica con ciò la parola veemente degli antichi profeti: comprano “con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali…” (Am 8,6), ma ci invita a riconoscere la sua presenza nei poveri che sono suoi fratelli (cfr. Mt 25,40). I più piccoli tra i fratelli, i poveri, gli emarginati, gli oppressi dalla miseria sono oggetto di un amore di preferenza da parte della Chiesa, la quale, fin dalle origini, malgrado l’infedeltà di molti dei suoi membri, non ha cessato di impegnarsi a sollevarli, a difenderli e a liberarli. Ciò ha fatto con innumerevoli opere di beneficenza, che rimangono sempre e dappertutto indispensabili. Forte di questa luminosa storia di carità, Papa Francesco desidera che il prossimo Giubileo sia anche un Giubileo delle opere di misericordia e di carità: “È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina. La predicazione di Gesù ci presenta queste opere di misericordia perché possiamo capire se viviamo o no come suoi discepoli. Riscopriamo le opere di misericordia corporale: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti. E non dimentichiamo le opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti”[9].
Il Giubileo della misericordia e la nostra Chiesa diocesana
12. Cosa aspettarci dal prossimo Giubileo come Chiesa diocesana? Penso che dobbiamo aspettarci principalmente due cose. La prima, quella che porti tutti noi cristiani a riflettere e a vivere soprattutto la misericordia di Dio, come l’espressione che dà maggiore credibilità alla missione della Chiesa e che ci fa sentire amati. E la seconda, che come cristiani non dobbiamo mai dimenticarci, nonostante i peccati quotidiani che commettiamo, e non stancarci di chiedere perdono al Signore. Da questa prospettiva è molto importante la sperimentazione di quella che è la parola centrale del Vangelo: Dio che si è rivelato con il volto di Gesù che sta accanto ai peccatori, che condivide con loro la mensa, che non esclude nessuno. Per vivere al meglio la grazia del Giubileo, desidero dare alcune indicazioni essenziali e pratiche che devono valere per tutta la nostra Chiesa diocesana, indicazioni che saranno nel tempo puntualizzate sul piano organizzativo dal Comitato per il Giubileo presieduto dal Vicario per il coordinamento pastorale, Mons. Roberto Rosa.
a) La Porta della misericordia sarà aperta nella Chiesa Cattedrale e resterà tale per tutto il tempo giubilare. A questa Porta dovrà convergere ogni forma di pellegrinaggio giubilare, sia esso individuale sia esso comunitario. Papa Francesco ci insegna: “Il pellegrinaggio è un segno peculiare nell’Anno Santo, perché è icona del cammino che ogni persona compie nella sua esistenza. La vita è un pellegrinaggio e l’essere umano è viator, un pellegrino che percorre una strada fino alla meta agognata. Anche per raggiungere la Porta Santa a Roma e in ogni altro luogo, ognuno dovrà compiere, secondo le proprie forze, un pellegrinaggio. Esso sarà un segno del fatto che anche la misericordia è una meta da raggiungere e che richiede impegno e sacrificio. Il pellegrinaggio, quindi, sia stimolo alla conversione: attraversando la Porta Santa ci lasceremo abbracciare dalla misericordia di Dio e ci impegneremo ad essere misericordiosi con gli altri come il Padre lo è con noi”[10].
Ogni parrocchia dovrà, previo accordo con il parroco della Cattedrale, fissare una data per il pellegrinaggio in Cattedrale. Il pellegrinaggio dovrà essere adeguatamente preparato con una serie di puntuali catechesi a livello parrocchiale, secondo le indicazioni che verranno fornite dal Comitato. Il pellegrinaggio parrocchiale alla Cattedrale è obbligatorio, mentre è lasciata alla libertà della singola parrocchia o ai decanati il promuovere altre iniziative giubilari. Inoltre, oltre alla Cattedrale, sono state individuate altre chiese quali punti di riferimento spirituale per l’Anno giubilare e, soprattutto, come luoghi privilegiati per accostarsi al sacramento della confessione.
Esse sono: il Santuario di Monte Grisa, il Santuario di Muggia Vecchia, il Santuario di Monrupino-Repentabor – quest’ultimo soprattutto per i fedeli di lingua slovena -, Sant’Antonio Taumaturgo e Chiesa di Montuzza.
b) Oltre a quelli parrocchiali, nella Cattedrale si farà in modo di promuovere dei pellegrinaggi che siano rivolti prevalentemente a categorie specifiche di persone, che per gli aspetti organizzativi dovranno vedere il fattivo contributo dei rispettivi organismi diocesani. Mi riferisco in particolare: Vita consacrata, pellegrinaggio promosso dal Vicario omonimo; realtà vocazionale, promosso dal Centro Diocesano Vocazioni; ragazzi e giovani dell’iniziazione cristiana, promosso dall’ufficio per la catechesi; mondo del volontariato e della solidarietà, promosso dalla Caritas diocesana; famiglie, promosso dalla rispettiva Commissione; mondo della sofferenza, promosso dalla rispettiva Commissione; mondo del lavoro, promosso dalla rispettiva Commissione; laicato associato, promosso dal Vicario per il laicato; adolescenti e giovani, promosso dalla pastorale giovanile; mondo sportivo e del tempo libero, promosso dalla rispettiva Commissione; scuola e università, promosso dall’ufficio scuola e dalla pastorale universitaria; mondo della cultura e dell’arte, promosso dal Vicario per la cultura. Un Giubileo particolare sarà celebrato anche nel carcere cittadino.
c) Un’attenzione speciale sarà riservata anche alla cultura spirituale riservando la Cattedra di San Giusto del tempo della Quaresima a tematiche connesse con il Giubileo della misericordia.
d) Verso la fine di aprile è previsto il pellegrinaggio diocesano a Roma, dove avremo la grazia di confermare la nostra fede sulle tombe degli apostoli Pietro e Paolo e di manifestare il nostro affettuoso legame al Santo Padre Francesco e la gioia di appartenere alla Chiesa cattolica e universale. In quella circostanza consegneremo anche gli Atti del nostro Sinodo diocesano.
Nel segno di Maria, Madre della misericordia
13. Carissimi fratelli e sorelle, tutti insieme vogliamo porre il prossimo Giubileo sotto la materna protezione della Madonna, Madre di Dio, e Madre nostra. Maria, infatti, è colei che conosce a fondo il mistero della misericordia divina. In questo senso la chiamiamo anche Madre della misericordia: Madonna della misericordia o Madre della divina misericordia. In questi titoli c’è un profondo significato, perché essi esprimono la particolare preparazione di tutta la sua persona, nel saper vedere, attraverso i complessi avvenimenti della storia, quella misericordia di cui di generazione in generazione si diviene partecipi secondo l’eterno disegno dell’Amore Trinitario.
L’allora card. Ratzinger nella sua omelia per il funerale di Giovanni Paolo II affermava che il Papa aveva trovato il riflesso più puro della misericordia di Dio nella Madre di Dio. Lui, che aveva perso in tenera età la mamma, tanto più aveva amato la Madre divina. Aveva sentito le parole del Signore crocifisso come dette proprio a lui personalmente: “Ecco tua madre!”. Ed ha fatto come il discepolo prediletto, accogliendola nell’intimo del suo essere (cfr. Gv 19, 27): Totus tuus. E dalla madre aveva imparato a conformarsi a Cristo. La Chiesa, anche la nostra diocesana, ha bisogno di trovare in Maria, la Madre della misericordia, il modello e la guida sicura per la sua testimonianza e per la sua missione. Maria è infatti anche colei che, in modo particolare ed eccezionale ha sperimentato la misericordia e al tempo stesso, sempre in modo eccezionale, ha reso possibile col sacrificio del cuore la propria partecipazione alla rivelazione della misericordia divina. Per questo Anno giubilare vi invito a fare nostro l’auspicio di Papa Francesco: “La dolcezza del suo sguardo ci accompagni in questo Anno Santo, perché tutti possiamo riscoprire la gioia della tenerezza di Dio”[11].
Trieste, 21 novembre 2015, Madonna della salute
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[1] Francesco, Misericordiae vultus, n. 2.
[2] Ivi, n. 3.
[3] I testi sono quelli utilizzati attualmente nei libri della Liturgia delle Ore. Nella traduzione della Bibbia fatta nel 2008 dalla CEI la parola misericordia è stata tradotta con le parole fedeltà e amore.
[4] Sant’Agostino, Contra Faustum manichaeum, 22: PL 42, 418; cfr. San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I-II, 71, 6.
[5] Sant’Agostino, De civitate Dei, 14, 28.
[6] Santa Faustina Kowalska, Diario, V Quaderno, 24.X11.1937.
[7] Santa Faustina Kowalska, Diario, VI Quaderno, 13.11.1938.
[8] Francesco, Misericordiae vultus, n. 22.
[9] Ivi, n. 15.
[10] Ivi, n. 14.
[11] Ivi, n. 24.