Messaggio per l’Avvento

DIOCESI DI TRIESTE

+ Giampaolo Crepaldi

Arcivescovo – Vescovo di Trieste

MESSAGGIO PER L’AVVENTO

LA VOCAZIONE CRISTIANA

“Vieni e seguimi” (Mt 19,21)

 

 

Ai presbiteri, ai diaconi, ai religiose e alle religiose, ai laici consacrati, ai fratelli e alle sorelle della Chiesa che è in Trieste, “grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo” (Fil 1,2).

 

Avvento e Giornata Mondiale delle Vocazioni, a Trieste

 

1.      Il tempo liturgico dell’Avvento ci consegna una delle verità più consolanti della nostra fede: come cristiani ci troviamo a vivere già nella pienezza dei tempi, perché essa si è realizzata nell’Incarnazione di nostro Signore Gesù Cristo, che celebriamo in maniera solenne a Natale. Quindi, non attendiamo la nascita di Gesù. Dopo la sua venuta, la nostra condizione, infatti, è quella di figli e di eredi, cioè di persone che, come il Figlio Gesù e per eredità della sua missione, sono chiamati a partecipare direttamente alla costruzione della Città di Dio. Per salvarci siamo chiamati a dare, con gioia e generosità, la nostra personale adesione al progetto di salvezza di Dio (Gal 4,1-7; 4,21-31). Noi cristiani, pertanto, non ci troviamo ad aspettare un altro Messia. La nostra attesa e la nostra speranza non sono più rivolte ad un evento che sconvolgerà la nostra storia, ma sono rivolte al di là del tempo e della storia. Tutta la nostra attenzione è indirizzata verso il Cristo che verrà a dare un volto definitivo alla giustizia, alla santità, alle attese e alle speranze di ogni uomo. Come dice S. Paolo “queste cose sono ombra di quelle future, ma la realtà è di Cristo”. (Col 2, 17).

2.     Maranatha! (Vieni Signore Gesù!)  (Ap,22,20): è questa la grande invocazione con cui termina la Bibbia; è questa l’invocazione che chiude l’ultimo libro della Bibbia, il libro dell’Apocalisse. Già nella Didachè – libro antichissimo, scritto subito dopo il nuovo Testamento – la Chiesa pregava: “Venga il Signore e passi questo mondo …: Maranathà, Amen!” Il Maranatha è la preghiera del povero che aspetta la soluzione dei problemi angosciosi e gravosi della sua vita dall’aldilà delle cose; è la preghiera di chi sente passare questa terra e di chi non si lega totalmente ad essa, di chi sa guardare, con fiducia, in alto e lontano. Il tempo liturgico dell’Avvento è il tempo privilegiato del Maranatha – del Vieni Signore Gesù -; tempo prezioso per invocare il Signore perché venga, anzitutto, nella nostra vita e ne prenda possesso; per chiedere che venga in noi per trasformare, nella sua persona, la nostra vita; per assimilarci sempre di più a Lui. Tutte le preghiere che accompagnano le liturgie dell’Avvento vanno in questa direzione: “Vieni e fa’ risplendere il tuo volto su di noi, o Signore che siedi nei cieli e saremo salvi”. “Vieni o Signore a visitarci con la tua pace: e la tua presenza ci farà traboccare di gioia”. “Manifesta la tua potenza e vieni Signore, nei pericoli che ci minacciano a causa dei nostri peccati; la tua protezione ci liberi, il tuo soccorso ci salvi”. E si dice ancora: “Manifesta finalmente la tua potenza, Signore e soccorrici con grande forza: il tuo amore vinca in noi la resistenza del peccato e affretti il momento della Salvezza”. Fino al giorno prima del Natale quando siamo invitati a pregare con queste parole: “Affrettati, non tardare, Signore Gesù! La tua venuta dia conforto e speranza a quelli che confidano nel tuo Amore”.

3.     Facendo tesoro delle preziose indicazioni che ci offre la spiritualità tipica del tempo liturgico dell’Avvento, rendo pubblico questo Messaggio con l’intento di sollecitare la nostra Chiesa a prepararsi adeguatamente ad un significativo evento che si celebrerà il prossimo anno – l’11 di maggio 2014, qui a Trieste -, evento di tutte le Chiese che sono in Italia. Si terrà, infatti, nella nostra Diocesi la celebrazione nazionale della Giornata Mondiale delle Vocazioni. Sarà, quindi, per la nostra Chiesa e per la Città un’occasione propizia per riflettere sulla vocazione cristiana e le vocazioni ecclesiali, tema particolarmente in sintonia con la spiritualità dell’Avvento con il suo pressante invito a rivolgere il nostro sguardo verso l’Atteso, verso il Signore Gesù, verso Colui che chiama, sollecitando la nostra risposta di fede, di speranza e di carità. La Giornata dell’11 di maggio 2014 avrà il seguente tema conduttore: Vocazioni testimonianza della Verità, che ha nel n. 9 della Lettera Enciclica di Benedetto XVI, Caritas in Veritate, il suo testo di riferimento. Il tema suggerisce che la Chiesa è chiamata a coltivare una specifica missione di verità «in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell’uomo, della sua dignità, della sua vocazione». In questa stimolante prospettiva, la pastorale vocazionale della Chiesa, è invitata a servire ogni persona, perché possa riconoscere nel progetto di Dio la realizzazione di sé e della propria verità. E’ questa anche la logica che deve orientare l’impegno preparatorio della nostra Chiesa per l’evento del maggio del prossimo anno: individuare nel progetto di Dio le piste di una rinnovata ricerca del senso del vivere, cioè la ricerca della verità di se stessi; la ricerca di una verità profonda nelle relazioni con il creato, con gli altri, con noi stessi; la straordinaria esperienza di sentire che possiamo toccare con mano la Verità dell’Amore di Dio per ciascuno di noi e l’incontro che genera autenticità e trasparenza, che avviene ogni qualvolta il Signore Gesù – Via,Verità e Vita – trova aperta la porta del nostro cuore: questo significa cercare e testimoniare la Verità.

Vocazione, vocazioni e fraintendimenti

4.    La circostanza di ospitare nella nostra Diocesi la celebrazione nazionale della Giornata Mondiale per le Vocazioni ci deve trovare uniti nel prestare al tema della vocazione cristiana e delle vocazioni ecclesiali una debita attenzione. Sarà così l’occasione buona anche per liberare il campo da alcuni fraintendimenti.

–  Il primo fraintendimento è quello di riservare il termine vocazione quasi essenzialmente alle vocazioni religiose, con il rischio di produrre un’indebita distinzione tra quelle religiose – sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose – e quelle secolari, quelle cioè dei fedeli laici che vivono nel mondo. Con questa differenziazione è a rischio la memoria cristiana: nella comunità proto-cristiana, infatti, era molto viva la convinzione di una comune e fondamentale vocazione di tutti i cristiani, uomini e donne, a partire dal sacramento del battesimo e dal sacramento della confermazione. Questa convinzione del cristianesimo primitivo è stata rivitalizzata dal Concilio Vaticano II che ha riservato il nobile termine vocazione a tutti i cristiani.

–  Il secondo fraintendimento è dato dall’intendere la pastorale vocazionale come una pastorale rivolta in maniera quasi esclusiva alla coltivazione delle vocazioni al sacerdozio o alla vita consacrata. Questa attenzione resta doverosissima anche al giorno d’oggi, ma non si deve dimenticare che tutta la pastorale ecclesiale deve essere sostanzialmente pastorale vocazionale. In che senso? Una risposta corretta dipende da che cosa si intende quando parliamo di pastorale. Nel suo nucleo fondamentale, essa consiste nel compito della Chiesa tutta nel far sì che tutti prestino ascolto alla multiforme chiamata di Dio e nell’aiutare le persone a dare la propria risposta di fede alla chiamata che Dio rivolge a loro in maniera personalissima. Su questa linea, è facilmente intuibile l’esigenza di approfondire e attualizzare la spiritualità dei sacramenti del battesimo e della confermazione nei quali si concretizza la chiamata fondamentale per il singolo cristiano ad una scelta per la vita.

–  Un ultimo fraintendimento che è bene chiarire è collegato al fatto di ritenere – questo avviene in particolare modo quando si ha a che fare con le vocazioni religiose – che la vocazione sia un qualcosa che riguarda e si esaurisca all’inizio della propria personale vicenda cristiana, ma che poi, di fatto, non continui lungo tutta la vita. Naturalmente il momento d’inizio è decisivo, ma il Dio che chiama, chiama sempre e per sempre perché intende percorrere con il chiamato tutta la strada della sua vita. Pertanto, la vocazione è una prospettiva fondamentale che si deve coltivare e sviluppare tutta la vita. Su questo il richiamo di Paolo a Timoteo è assai puntuale: “Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani” (2Tim 1,6).

Vocazione e messaggio biblico

5.      Per cogliere in profondità il concetto cristiano di vocazione è bene soffermarsi su alcune pagine della Sacra Scrittura, in modo particolare su quelle del libro della Genesi – il primo libro della Bibbia -, che ci narrano la creazione del mondo e dell’uomo. Quelle pagine, oltre a presentarci Dio che crea, alludono al fatto che Dio è un Dio che chiama e che, proprio nel suo chiamare, è creativamente incisivo: “Sia la luce! E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona” (Gen 1,3-4). Da notare in questo versetto lo sguardo di Dio: esso è l’inizio della chiamata di una creatura al suo esistere, e questa chiamata è creatio ex amore, creazione per amore, creazione di cose buone. Dio, infatti, crea il mondo a partire da una piena ed esuberante bontà per renderlo partecipe della pienezza della vita e dell’amore inesauribile tra il Padre e il Figlio nello Spirito Santo.

Così avviene in modo particolare con la creazione dell’uomo, vertice della creatio ex amore: Dio chiama ogni uomo con il suo nome e gli si rivolge chiamandolo per nome. Lo stupendo Salmo 139 evidenzia inoltre, che questa chiamata nominale di Dio avviene già per il bambino non nato e ancora nel grembo materno: “Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi; erano tutti scritti nel tuo libro i giorni che furono fissati quando ancora non ne esisteva uno” (v. 16). Già all’inizio di ogni vita umana, Dio chiama l’uomo ad una straordinaria vita personale. Questa chiamata, originale e originante, è la chiave musicale con cui partire per dare continuamente forma e progetto allo spartito di ogni pastorale vocazionale.

6.     La Bibbia ci rende manifesto che il Dio che crea l’uomo chiamando alla vita è un Dio che si rivolge direttamente all’uomo e che perciò vuole essere ascoltato dall’uomo. Già nel giardino dell’Eden Dio si rivolge ad Adamo e gli dice: “Dove sei?” (Gen 3,9). Dio chiama Adamo, lo convoca alla sua presenza, lo invita a venire al suo cospetto e si appella alla sua responsabilità. In questa sostanziale struttura vocazionale della creazione e della creazione dell’uomo risulta evidente che la chiamata non è una questione riconducibile alla volontà umana, ma che è frutto di una libera iniziativa che parte sempre da Dio e a Lui appartiene nel tempo. La chiamata di Dio attende perciò la risposta di colui che viene chiamato. Questo vale soprattutto se la chiamata di Dio tende a far si che uno – come nel caso emblematico della chiamata di Abramo – sia chiamato a lasciare la sua vita abituale e la sua tradizionale professione per qualcosa di radicalmente nuovo e diverso.

7.      Il fondamentale concetto biblico di vocazione, oltre ad affermare qualcosa di essenziale su Dio identificandolo come il Dio che chiama, illumina anche su un altro aspetto: Dio non è solo colui che chiama è anche colui che si fa chiamare e, in questo modo, è colui che si rende accessibile all’uomo che entra in relazione di co-esistenza con Lui e, in particolare, consente all’uomo la co-esistenza con sé[1]. Secondo la Bibbia non è l’uomo che ha il potere di attribuire un nome a Dio. Dio si può chiamare e invocare da noi uomini perché Egli si lascia chiamare e invocare; e il suo nome è noto a noi uomini solo perché è Dio stesso che lo rende noto (cf. Es 3,14).

A partire dal dato biblico che è possibile chiamare e invocare Dio, possiamo sottolineare un dato particolarmente significativo per la nostra Chiesa diocesana che sta celebrando il Sinodo della fede: la fede in Dio è un atto personale di fiducia e produce un legame reciproco tra persone. Il nucleo centrale della professione della fede – della confessio fidei -, pertanto, non è credo in qualcosa, ma credo in te e ti credo. La fede cristiana è il ricercare e il trovare un tu personale che mi conduce e mi dona la promessa di un amore indistruttibile[2]. Solo se Dio è persona, il primo e l’ultimo fra tutti, Egli è al contempo il più concreto e l’uomo si trova nello spazio vitale del suo amore. E solo se Dio stesso è persona, una persona che chiama e che si può chiamare, la preghiera è veramente possibile. In questa ottica, il concetto essenziale della pastorale vocazionale è quello di rendere sempre possibile e realizzabile una tale relazione personale di Dio con gli uomini. Non si colloca a questo livello la sfida attuale della nuova evangelizzazione?

8.     La Bibbia offre alla nostra spirituale considerazione, inoltre, una serie di altre suggestive pagine che descrivono storie vissute di vocazione. La vocazione di Mosè al roveto ardente (cf. Es 3), quella di Isaia al Tempio (cf. Is, 5), il dialogo tra Dio e il giovane Geremia (cf. Ger 1), ci pongono di fronte a Dio nella sua maestosa presenza e al suo mistero e, nello stesso tempo, all’uomo in tutta la sua verità, fatta di paura e di generosità dove si combinano insieme le forze della resistenza e quelle dell’accettazione. Queste storie, emblematiche e illuminanti, ci stanno a dire che la vocazione, sul piano della rivelazione di Dio e su quello della salvezza dell’uomo, è un qualcosa di unico e decisivo.

Nella Sacra Scrittura, il tema della vocazione si trova collegato con altri temi privilegiati che ne illuminano il profilo e la consistenza. Il primo collegamento è con il tema della missione: se si leggono attentamente le storie della vocazione di Isaia e di Geremia (cf. Is 5; Ger 1) si noterà facilmente che si tratta anche di vocazioni per la missione. Il secondo collegamento è con il tema dell’alleanza. Dio chiama un popolo come popolo nella sua globale composizione (cf. Rm 1,1.6-7; 1Cor 1,1-2), ma chiama anche i membri di questo popolo nella loro singolare individualità a vivere una relazione di alleanza con lui e in un rapporto privilegiato di comunione, definito da san Paolo come partecipazione alla sua santità (cf. 1Cor 1, 1-3).

La Bibbia ci offre anche alcune caratteristiche della vocazione che vanno nella direzione di darle un profilo missionario assai marcato, a partire da un’esperienza di elezione e comunione con Dio. In primo luogo, la gratuità e la libertà: Dio chiama sempre e solo in assoluta conformità ai suoi piani di salvezza; in secondo luogo, la responsabilità che tocca in sorte al chiamato e che, spesso, lo prende in contropiede nelle sue stesse abitudini; si vedano, per esempio, le esitazioni, anzi il rifiuto di Mosè (cf. Es 3,11; 4,10-13), di Geremia (cf. Ger 1,5; 20,7-9), di Paolo (cf. At 26,14); si veda anche in Luca 9,59-60; 5,8; in terzo luogo, va evidenziata la ferma promessa dell’assistenza divina, espressa nella formula tradizionale “Io sono con te” (cf. Es 3,13-17; Gdc 6, 12; Ger 1,8.19; Lc 1,28; Mt 28,20); per ultimo, il richiamo alla necessità della speranza e di una fiducia totale (cf. Is 7,9; Ger 1,17; 15,19-21; Mc 5,40).

Vocazione battesimale e comune vocazione alla santità

10.   Dove possiamo concretamente constatare la piena realizzazione della chiamata di Dio e del fatto che Dio si lascia chiamare e invocare da noi? Nella vita del cristiano lo spazio unico e privilegiato della chiamata di Dio e della risposta dell’uomo è quello della Chiesa attraverso il sacramento del battesimo. La chiamata di tutti i cristiani, uomini e donne, in virtù di aver ricevuto il battesimo, è stata riscoperta dal Concilio Vaticano II che ha attribuito un grande significato alla comune vocazione alla santità. L’intero capitolo quinto della Costituzione dogmatica Lumen gentium sulla Chiesa è dedicato a questa prospettiva di guida della vita cristiana: “tutti coloro che credono nel Cristo di qualsiasi rango o stato, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità”[3]. Basandosi su questo aspetto, il Beato Giovanni Paolo II nella sua Lettera Apostolica, Novo Millennio ineunte, ha tracciato le linee guida pastorali per la Chiesa all’inizio del nuovo millennio, in cui richiama alla mente come assoluta priorità pastorale la comune vocazione alla santità: “E in primo luogo non esito a dire che la prospettiva in cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quello della santità” (n. 30).

11.   Questa prospettiva poggia su uno stimolante fondamento biblico. Alla domanda, pur elementare, della fede cristiana su che cosa consista la volontà di Dio, Paolo, nella prima Lettera ai Tessalonicesi, dà questa risposta altrettanto elementare: “Questa infatti è la volontà di Dio, la vostra santificazione” (4,3). Paolo in questo modo afferma che la volontà di Dio alla fine è molto semplice e, nella sua essenza, è uguale per tutti gli uomini, vale a dire che essa è la santità. La chiamata cristiana alla santità non è elitaria, ma assolutamente egualitaria. Davanti al cospetto di Dio non è santo ciò che è straordinario, ma lo è proprio l’ordinario e quindi tutto quello che per ogni battezzato appare normale. La santità non consiste in chissà quali inimitabili esercizi, ma nell’ordinaria vita del cristiano, vita vissuta per Dio, con Dio e verso Dio, in generosa adesione allo spirito della fede. Già quattrocento anni fa, San Francesco di Sales scriveva: “E’ un errore, e davvero un’eresia pericolosa voler bandire una vera vita di devozione dalla compagnia dei soldati, dall’officina degli artigiani, dalla corte dei principi e dalla casa degli sposi”. La vocazione cristiana alla santità vuole attuarsi in innumerevoli forme e può essere vissuta in ogni condizione sociale. È santo l’uomo che cerca la volontà di Dio ed è disposto a dare il proprio consenso a Lui che è “Santo, santo, santo”, tre volte santo (Is 6,3). È nella sua santità, che l’uomo diventa santo. Il Concilio Vaticano II ha, inoltre, messo in evidenza che la comune vocazione alla santità è strettamente connessa con una vocazione propria di fedeli laici: “Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio”[4].

12.    La comune vocazione alla santità, così tanto valorizzata dal Concilio Vaticano II, implica che la vocazione battesimale non venga considerata unicamente all’inizio della vita cristiana, ma che essa accompagni il chiamato per tutta la vita. Così la vita cristiana è da intendersi nella sua interezza come un quotidiano compimento del battesimo che dura per tutta la vita. La storia della vita di una persona dopo il battesimo sino all’effettivo sopraggiungere della morte diviene il compimento di ciò che è stato intrapreso con l’evento del battesimo. Inoltre, se la vocazione a seguire il Signore si realizza nel sacramento del battesimo, possiamo dire, che la ratifica di tutto ciò si compie nel sacramento della confermazione, che è il vero e radicale sacramento della vocazione ecclesiale poiché attua la consacrazione al comune sacerdozio di tutti i battezzati.

Una delle priorità pastorali al giorno d’oggi è quella di mantenere viva tra i credenti la consapevolezza dei sacramenti del battesimo e della confermazione. Se il perno della cura delle anime consiste nell’aiutare le persone ad ascoltare l’invito di Dio nella loro vita personale e ad aiutarli a dare la propria personale risposta a questo invito di Dio, allora la pastorale vocazionale della Chiesa è, prima di tutto, un avvenimento mistagogico. E si può essere più che certi che se la fondamentale vocazione al battesimo, che fa divenire cristiani, viene riscoperta nella sua profondità e nella sua forza irradiante, ci saranno nuovamente anche nella Chiesa, oggi e sempre, più vocazioni al presbiterato, alla vita consacrata e al servizio ecclesiale.

Vocazione al presbiterato e alla vita consacrata

13.   La nostra Chiesa deve riservare un’attenzione particolare alla vocazione al sacerdozio: essa è una manifestazione dell’amore infinito ed eterno di Dio, un dono gratuito che viene direttamente dal suo cuore. Il sacerdozio non è una semplice grazia di santificazione personale, è una dignità e una funzione conferita da Dio a certi uomini per la santificazione dei loro simili e per servire la vita della Chiesa come guide della comunità, come annunciatori della Parola di Dio, come dispensatori della grazia del sacramento dell’Eucaristia, che è il sacramento sponsale per eccellenza perché Dio che chiama e l’uomo che risponde, al momento della comunione nella celebrazione eucaristica, si fondono e i due diventano un tutt’uno. Nella Lettera agli Ebrei troviamo scritto: “Ogni sommo sacerdote – il termine qui vale per ogni sacerdote -, infatti, è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati” (5,1). Si tratta dunque di una partecipazione all’opera redentrice di Cristo. Per accedere al sacerdozio bisogna essere chiamati da Dio: “Nessuno – prosegue la Lettera – attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne” (5,4). Anche Gesù scelse e chiamò lui stesso i suoi apostoli; infatti, dopo aver passato la notte in preghiera, “Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli” (Lc 6,13). E un giorno disse loro con una precisione perentoria: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15,15).

Senza dubbio, la vocazione al presbiterato è essenzialmente una chiamata divina, anche se ha bisogno di essere controllata e autenticata dalla Chiesa. San Paolo, infatti, dopo aver ricordato a Timoteo le abitudini e le virtù che doveva esigere dagli aspiranti al sacerdozio, aggiunse: “Non aver fretta di imporre le mani ad alcuno, per non farti complice dei peccati altrui” (1Tim 5,22). Questa autenticazione dell’appello divino al sacerdozio tramite la Chiesa è anche così indispensabile perché, quando Dio stesso designò i soggetti che aveva scelti e chiamati, li sottopose anche all’imposizione delle mani dei presbiteri. Fu il caso di Paolo e Barnaba (cf. At 13, 1ss).

14.   In prima linea nella coltivazione delle vocazioni al sacerdozio – compito importante e necessario – ci devono essere i genitori, i sacerdoti e gli educatori perché sono essi le persone più adatte a scoprire le vocazioni. San Giovanni Bosco diceva: “Ho esperienza dei giovani, un terzo di essi porta in germe la vocazione”. Chiediamoci: come provocare il risveglio delle vocazioni? Ci sono tante strade da percorrere, soprattutto quella della preghiera, come si fa nella nostra Diocesi attraverso la bella iniziativa promossa dal Centro Diocesano per le Vocazioni denominata Monastero invisibile. Qui mi permetto di suggerire e indicare quella che dovrebbe vedere come principali attori i nostri sacerdoti che sono chiamati a risvegliare le vocazioni al sacerdozio tramite l’esempio della loro santità sacerdotale. Niente è più efficace per svegliare nell’anima di un giovane il desiderio di essere un sacerdote che la vista di un buon sacerdote. Quando un sacerdote è gioiosamente innamorato del suo sacerdozio questo suo amore diventa contagioso e i giovani conquistati dal suo entusiasmo saranno pronti a rispondere alla chiamata al sacerdozio. La nostra Chiesa, inoltre, deve essere profondamente grata al Signore per il dono straordinario di avere due Seminari dove vengono formati i futuri presbiteri: quello interdiocesano di Castellerio che, attualmente, ospita 10 candidati; quello presso Le Beatitudini, che ospita 18 candidati. È una grazia e, insieme, una grande responsabilità: quella di conoscere questi due seminari e i loro seminaristi, di pregare per loro, di aiutarli, di amarli come una delle realtà più belle e preziose della nostra Chiesa.

15.   Un’attenzione particolare va riservata anche alle vocazioni alla vita consacrata, sia maschile sia femminile, sia religiosa che laica che, in questo particolare momento storico della vita della Chiesa, patisce una qualche forma di difficoltà. La consacrazione è un dono speciale che Dio fa alla sua Chiesa e a qualche persona in particolare. Essa si caratterizza per il dono totale di se stessi a Dio per il bene di tutti. I religiosi e le religiose testimoniano che la vita cristiana è esigente, radicalizzando ciò che Gesù consiglia e assumendolo nella propria vita come voto. Essi indicano che seguire Gesù trasforma la vita. Con la propria vita il religioso e la religiosa ci comunicano che Dio viene prima di ogni altra cosa, è l’assoluto, che chiede tutto e che dona tutto.

Certamente anche per le vocazioni sappiamo che esse vengono da Dio, ma Egli vuole che noi collaboriamo alla sua opera, soprattutto con la preghiera: “Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!” (Mt 9,35-38): Questa scena è ancora attuale e ben descrive la realtà di oggi, e l’invito alla preghiera per le vocazioni che rivolse il Signore è ancora valido e tocca e interpella anche noi cristiani di Trieste.

Vocazione al matrimonio cristiano

16.   Ci soffermiamo ora a riflettere sulla vocazione al matrimonio cristiano. Essa è, infatti, una vocazione perché costituisce i due sposi in un preciso e stabile stato di vita dentro la Chiesa, con una loro specifica missione. Gli sposi cristiani sono chiamati dal Signore ad essere il segno visibile dell’unione di amore che lega Cristo e la Chiesa: questa è anche la prima e fondamentale dimensione della loro missione nella Chiesa e per la Chiesa. Cosa significa tutto questo? Significa che la chiamata ad essere e a vivere in Cristo fondata dal battesimo assume una particolare specificità, che ha le sue radici nel sacramento del matrimonio, il quale chiama i coniugi ad amarsi nel modo proprio con cui si amano Cristo e la Chiesa. A questo riguardo, il Concilio Vaticano II nella Lumen Gentium scrisse: “I coniugi cristiani, in virtù del sacramento del matrimonio, … significano e partecipano il mistero di unità e di fecondo amore che intercorre tra Cristo e la Chiesa (cfr. Ef 5,32)” (n. 11): questa è l’intima natura del matrimonio cristiano. Il testo conciliare opportunamente continua con queste parole: “si aiutano a vicenda per raggiungere la santità nella vita coniugale; accettando ed educando la prole essi hanno così, nel loro stato di vita e nella loro funzione, il proprio dono in mezzo al popolo di Dio” (Ivi). Per i Padri conciliari la missione degli sposi cristiani è la loro perfezione, è la perfezione della carità, è la perfezione dell’amore. Questa perfezione gli sposi cristiani la raggiungono insieme, in due modi: prima di tutto, custodendo e coltivando la loro vita coniugale e, in secondo luogo, mediante il dono della vita che si concretizza nell’accettazione e nell’educazione dei figli.

17.    La vocazione al matrimonio cristiano, come ogni altra vocazione, va coltivata con cura. Sposi e genitori non ci si improvvisa. Per questo è necessario prepararsi seriamente al matrimonio cristiano, altrimenti si rischia, come capita spesso, che molti si sposano in Chiesa senza saper veramente cosa hanno fatto. Risulta pertanto assai importante il tempo del fidanzamento, come tempo di verifica e discernimento vocazionale, come tempo prezioso da impiegare dalla coppia per una costante maturazione umana e spirituale del rapporto affettivo. In questo periodo i fidanzati sono chiamati a interrogarsi sulla loro vocazione al matrimonio e sulla scelta reciproca.

Il fidanzamento è un tempo di conoscenza di sé e delle proprie capacità nell’arte difficile dell’amare e del comprendersi, superando a poco a poco il proprio egoismo in una reciproca oblatività. Il fidanzamento è anche un tempo di grazia durante il quale mettere in moto le energie spirituali della propria fede cristiana e quelle connesse alla stessa vocazione coniugale che ha nell’amore di Gesù per la sua sposa, la Chiesa, il suo paradigma. Fidanzamento, quindi, per crescere nella fede insieme, per imparare a pregare insieme, per imparare a condividere la carità verso la comunità cristiana e verso le persone che si trovano nel bisogno. Il tempo del fidanzamento come tempo dedicato alla coltivazione della vocazione al matrimonio sarà tanto più autentico se sarà vissuto nella castità prematrimoniale: è difficile che ci sia un amore schietto, sincero e felice se non si vive la virtù della castità. Non è qui il caso di parlare di impurità o scendere in casistiche morbose; quello però che è necessario è ricominciare ad annunciare e testimoniare il Vangelo della castità e della purezza come via sicura per la coltivazione della vocazione al matrimonio.

18.   La vocazione al matrimonio è anche chiamata al dono della vita che è tale con la nascita dei figli. In un tempo segnato dall’aver culturalmente e praticamente separato la sessualità dalla generazione dei figli – questo il segno maggiormente emblematico di una società che ha perso la bussola – è necessario che la Chiesa riproponga con forza e convinzione il Vangelo della vita, riproponga l’ideale del matrimonio fecondo. La comunione matrimoniale tende di sua natura a espandersi nella comunità familiare, per cui la coppia diventa famiglia con la generazione dei figli. Nel mistero della conce- pimento e della nascita di una persona umana, Dio stesso è il protagonista e gli sposi ne sono i collaboratori, chiamati a partecipare a quella paternità e maternità divina di cui ci parla la Bibbia. Diventare consapevoli di tale verità permette di avvertire la trascendente grandezza, l’ineffabile gioia della paternità e della maternità, e, insieme, di affrontare con fiducia ogni difficoltà, vincendo tutte le paure, sia psicologiche che sociali ed economiche.

Annunciare il Vangelo della vita, vuol dire anche che i figli devono costituire la prima preoccupazione degli sposi. Essere padre ed essere madre non si esauriscono nel momento in cui nascono i figli; è compito che continua con la cooperazione dell’opera dello Spirito Santo e culmina nella formazione di uomini e donne autenticamente cristiani. In un tempo caratterizzato da crescenti e continui inviti alla distrazione, al disimpegno, all’emergenza educativa, è bene che i genitori sappiano che i figli sono la loro cosa più importante: più degli affari, più del lavoro, più dello svago; è bene che sappiano che i genitori educano soprattutto con la loro condotta. Quello che i figli e le figlie cercano nei genitori è in definitiva questo: una testimonianza credibile sul valore e sul senso della vita. Questo li rende sicuri, questo li rendi felici e realizzati.

Maria, fedele interprete di ogni vocazione cristiana

19.  Carissimi fratelli e sorelle, mi avvio a chiudere queste semplici annotazioni sul vasto e coinvolgente tema della vocazione cristiana e delle vocazioni ecclesiali che ho scritto per prepararci bene all’evento che si terrà a Trieste il prossimo anno, richiamando la vostra attenzione su uno dei punti più qualificati dell’Anno della fede – Anno voluto da Papa Benedetto XVI e continuato con crescente entusiasmo da Papa Francesco – che abbiamo appena concluso: ogni rinnovato slancio vocazionale ha come presupposto la riscoperta della fede. La fede è la risposta del cristiano all’Amore trinitario che si è manifestato in Gesù Cristo, Amore divino che ci raggiunge tra le mille pieghe della nostra vita quotidiana e nelle circostanze più diverse. Credere, dunque, ci apre a Dio e alla sua vita divina, ci fa entrare in comunione con il Signore. Con la fede ci leghiamo in strettissima relazione con Dio Padre, Figlio, Spirito Santo, nel tempo e nello spazio della Chiesa.

Richiamo il tema della fede perché essa è anche il presupposto essenziale e fondamentale della ripresa vocazionale nella nostra Chiesa. La vocazione, infatti, è come il secondo passo di questo cammino di comunione con Dio che chiama. È il sì al Dio che sollecita il nostro inserimento nel suo disegno universale di salvezza e chiede collaboratori – anche a tempo pieno – per poterlo realizzare. La vocazione è il passo di chi accoglie l’invito di mettersi a servizio di Cristo e della Chiesa, attraverso il dono di sé – secondo le esigenze della sua propria e specifica vocazione -, per offrire al mondo la testimonianza esclusiva di un amore bruciante per Dio e per i fratelli e le sorelle.

20.   A Maria dedichiamo tutti gli innumerevoli cammini vocazionali dei cristiani della nostra Chiesa diocesana, pregandola di accompagnarli e assisterli con la sua materna protezione. Lei è stata chiamata e a quella chiamata ha risposto con un generosissimo fiat. E per finire con il mirabile fiat vocazionale di Maria desidero proporre una pagina illuminate della prima Lettera enciclica del nostro Santo Padre Francesco, la Lumen fidei: “Nella pienezza dei tempi, la Parola di Dio si è rivolta a Maria, ed ella l’ha accolta con tutto il suo essere, nel suo cuore, perché in lei prendesse carne e nascesse come luce per gli uomini. San Giustino Martire, nel suo Dialogo con Trifone, ha una bella espressione in cui dice che Maria, nell’accettare il messaggio dell’Angelo, ha concepito “fede e gioia”. Nella Madre di Gesù, infatti, la fede si è mostrata piena di frutto, e quando la nostra vita spirituale dà frutto, ci riempiamo di gioia, che è il segno più chiaro della grandezza della fede” (n. 58). Della grandezza della fede, ma, anche ed insieme, della grandezza della vocazione cristiana.

Trieste, 21 novembre 2013,

Madonna della salute.


[1] Qui si colloca anche il motivo più profondo per cui, anche e proprio nel rapporto tra il cristianesimo e le altre religioni, la concezione personale di Dio della fede cristiana e la concezione impersonale di Dio da parte di altre religioni non possono essere reciprocamente armonizzate: “Non vi è alcuna intermediazione finale tra Dio e gli dei, tra la concezione personale e impersonale di Dio”. A questo riguardo, J. Ratzinger, Il Dio della fede e il Dio dei filosofi: un contributo al problema della Theologia naturalis, Venezia, 2007.

[2] J. Ratzinger, Fede, verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Siena 2003.

[3] Concilio Vaticano II, Cost. Dog. Lumen gentium, n. 40.

[4] Concilio Vaticano II, Cost. Dog. Lumen gentium, n. 31.