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La fede celebrata | il secondo anno del Sinodo diocesano

DIOCESI DI TRIESTE

 

Apertura II anno del Sinodo diocesano

 

+ Giampaolo Crepaldi

Cattedrale di San Giusto, 11 ottobre 2013

 

 

Carissimi fratelli e sorelle,

 

1.           Mentre volge al termine l’Anno della fede – anno voluto dal Santo Padre Benedetto XVI e continuato da papa Francesco che ha donato alla Chiesa l’enciclica Lumen fidei, anno che ricorda i cinquant’anni dall’inizio del Concilio Ecumenico Vaticano II e i vent’anni della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica – riprende il cammino del nostro Sinodo diocesano con il secondo anno dei suoi lavori che saranno dedicati alla fede celebrata. La fede, come adesione vitale a Cristo, non giunge a maturazione se non quando si esprime nel gesto liturgico e sacramentale, come accoglienza del mistero di Cristo nella propria esistenza. La fede cristiana comporta, infatti, costitutivamente una triplice dimensione: la Parola ascoltata e accolta, la conversione di vita secondo gli insegnamenti di Gesù, la celebrazione dell’evento di Cristo crocifisso e risorto nei sette sacramenti della liturgia (cfr. At 2,14-41). Il Santo Padre Francesco ha illuminato questo punto decisivo con una coinvolgente pagina della Lumen fidei: «La fede, infatti, ha bisogno di un ambito in cui si possa testimoniare e comunicare, e che questo sia corrispondente e proporzionato a ciò che si comunica. Per trasmettere un contenuto meramente dottrinale, un’idea, forse basterebbe un libro, o la ripetizione di un messaggio orale. Ma ciò che si comunica nella Chiesa, ciò che si trasmette nella sua Tradizione vivente, è la luce nuova che nasce dall’incontro con il Dio vivo, una luce che tocca la persona nel suo centro, nel cuore, coinvolgendo la sua mente, il suo volere e la sua affettività, aprendola a relazioni vive nella comunione con Dio e con gli altri. Per trasmettere tale pienezza esiste un mezzo speciale, che mette in gioco tutta la persona, corpo e spirito, interiorità e relazioni. Questo mezzo sono i Sacramenti, celebrati nella liturgia della Chiesa. In essi si comunica una memoria incarnata, legata ai luoghi e ai tempi della vita, associata a tutti i sensi; in essi la persona è coinvolta, in quanto membro di un soggetto vivo, in un tessuto di relazioni comunitarie. Per questo, se è vero che i Sacramenti sono i Sacramenti della fede, si deve anche dire che la fede ha una struttura sacramentale. Il risveglio della fede passa per il risveglio di un nuovo senso sacramentale della vita dell’uomo e dell’esistenza cristiana, mostrando come il visibile e il materiale si aprono verso il mistero dell’eterno» (n. 40).

2.           Carissimi fratelli e sorelle, con la liturgia si giunge sempre al cuore del mistero cristiano; essa ci offre, infatti, la possibilità di entrare in contatto con Dio, di accogliere la sua presenza e di ricevere i frutti della salvezza, conquistata per noi da Cristo sulla croce. La liturgia è pertanto l’accettazione di Dio e della sua maestà nella nostra vita, accettazione che si esprime nell’adorazione contemplativa e nell’obbedienza operativa. Adorazione contemplativa e azione, come nell’opera creatrice di Dio; come nell’ora et labora dei monaci benedettini. Adorazione contemplativa del mistero di Dio, che genera gioia, gratitudine e lode, e che, a sua volta, si traduce in azione amorosa, caritatevole verso Dio e il prossimo. Sappiamo tutti e bene che adorazione contemplativa e obbedienza operativa sono abiti spirituali ormai lontanissimi dalla sensibilità dei nostri contemporanei, che rischiano di diventare desueti anche nella nostra vita cristiana.  Ma quando viene meno l’adorazione che mette in primo piano Dio, si fa largo il nostro io con il suo protagonismo e le sue pretese mondane – così fortemente stigmatizzate dal nostro Papa Francesco nel suo pellegrinaggio ad Assisi – con tutte quelle nefaste conseguenze che affliggono la vita quotidiana della Chiesa: chiacchiere a non finire, sociologismi pastorali, illusioni di trasformare la realtà con le nostre forze, attivismi sterili totalmente sganciati da ogni riferimento al soprannaturale, filantropie svuotate di ogni forma di carità cristiana, utopie, anche politiche, prive di ogni richiamo al trascendente. L’uomo che non coltiva l’abito liturgico dell’adorazione pone se stesso e le sue voglie come misura di tutte le cose; non sopporta il richiamo, a volte pungente, della Verità; fatica a riconoscersi colpevole, a entrare nel confessionale, a testa bassa, per piangere i suoi peccati; fa fatica a riconoscere nel creato, nella famiglia, in un figlio inatteso, in un povero, in una persona anziana, nel prossimo,… dei doni di Dio, sacri e misteriosi, su cui è vietato calare mani empie e sacrileghe.

3.           Cari fratelli e sorelle, la liturgia, invece, con l’esigente richiamo al primato di Dio su tutto e su tutti ci educa all’adorazione contemplativa e all’obbedienza operativa, diventando il cuore pulsante e vivo di ogni autentica rigenerazione cristiana, sia sul piano personale sia su quello comunitario ed ecclesiale. Diventa anche sorgente mirabile per dare al nostro mondo in piena crisi antropologica una prospettiva umanistica ricca di senso e di valori.  Se la liturgia non viene volgarmente ridotta a teatrino per le nostre recite umane, ma si fa spazio in cui le anime possano innalzarsi per un attimo dove l’aria è più pura; possano ricevere la manna eucaristica per attraversare il deserto; possano incontrare il Mistero dell’Amore trinitario per lodarlo, adorarlo, ringraziarlo e implorarlo con cuore aperto e abbandonato alla sua provvidente misericordia, allora ragionevolmente possiamo sperare in un futuro migliore per la Chiesa e per il mondo. Il Concilio Vaticano ci ha ammonito, infatti, che la liturgia “contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa” (Sacrosanctum Concilium, 2). Non si deve mai dimenticare che ciò che si celebra è ciò che si crede (lex orandi, lex credendi). Nella liturgia, celebrando i misteri di Cristo, si annuncia la Parola di Dio e, sempre nella liturgia, si fa esperienza della carità, attingendo alla fonte dell’amore che è Dio. La liturgia è dunque il luogo primario dell’annuncio, della preghiera e della carità.

4.           Alla Madonna, madre della Chiesa e madre della nostra fede, dedichiamo questo secondo anno del nostro Sinodo, implorando la sua materna protezione e facendo nostro il testo della preghiera con il quale il nostro Santo Padre Francesco chiude l’enciclica Lumen fidei. “Aiuta, o Madre, la nostra fede! Apri il nostro ascolto alla Parola, perché riconosciamo la voce di Dio e la sua chiamata. Sveglia in noi il desiderio di seguire i suoi passi, uscendo dalla nostra terra e accogliendo la sua promessa. Aiutaci a lasciarci toccare dal suo amore, perché possiamo toccarlo con la fede. Aiutaci ad affidarci pienamente a Lui, a credere nel suo amore, soprattutto nei momenti di tribolazione e di croce, quando la nostra fede è chiamata a maturare. Semina nella nostra fede la gioia del Risorto. Ricordaci che chi crede non è mai solo. Insegnaci a guardare con gli occhi di Gesù, affinché Egli sia luce sul nostro cammino. E che questa luce della fede cresca sempre in noi, finché arrivi quel giorno senza tramonto, che è lo stesso Cristo, il Figlio tuo, nostro Signore!” (n. 60).