La Chiesa di Trieste e i Poveri

DIOCESI DI TRIESTE

CONSIGLIO PRESBITERALE

LA CHIESA DI TRIESTE E I POVERI

NOTA

1.         Il Consiglio Presbiterale Diocesano, nell’incontro del 7 febbraio 2013, ha preso in considerazione alcuni problemi connessi con l’esercizio delle attività caritative della Chiesa di Trieste per dare ad essi una sollecita risposta, utile soprattutto ai parroci per un ordinato svolgersi dei loro compiti pastorali, e utile altresì per una corretta e trasparente informazione. Dopo aver ascoltato alcune puntuali comunicazioni riguardanti in particolare il fenomeno di coloro che chiedono l’elemosina alle porte delle chiese, il Consiglio Presbiterale ha ritenuto opportuno predisporre la seguente Nota che dovrà costituire un punto di riferimento autorevole per affrontare le questioni con saggezza pastorale.

2.         L’attività caritativa è parte costitutiva della missione della Chiesa, che si esplica inoltre con la proclamazione della Parola di Dio e con la celebrazione dei sacramenti. Attraverso la proclamazione della Parola, la celebrazione dei sacramenti e la pratica della carità, la Chiesa compie la missione di portare tutti gli uomini e le donne a condividere la natura divina di Dio, che è amore, Deus caritas est. In questa prospettiva, la Chiesa non considera i poveri semplicemente come dei “bisognosi”, dei portatori di bisogni materiali, ma come figli di Dio, che, in quanto tali, hanno anche bisogno della Sua Parola, della Sua Presenza e della Sua consolazione, in modo da dare loro non solo il pane, ma anche la Parola. In questo quadro va considerato e compreso il ruolo che in Diocesi esercitano le Organizzazioni caritative, in primo luogo la Caritas diocesana, chiamate a dare un contributo essenziale all’opera di evangelizzazione, in quanto l’evangelizzazione è strettamente collegata con la Diakonia. Questa significativa sottolineatura sulla dimensione ecclesiale dell’attività caritativa comporta che si evidenzi un altro aspetto assai importante: ogni attività caritativa cattolica deve essere portata avanti nella fedeltà alla missione e alla struttura della Diocesi, in particolare per quanto riguarda il ruolo del Vescovo.

3.         Anche nella nostra Chiesa diocesana le attività caritative comportano una stretta collaborazione con le Istituzioni del governo locale e con la società civile. L’esperienza attesta che tutto ciò costituisce un fatto assai positivo, che ha consentito nel tempo di risolvere molte situazioni difficili e di accumulare un significativo livello di professionalità tecnica e amministrativa. A questo riguardo tuttavia, si abbia l’avvertenza che tale professionalità, per non scadere in forme di pragmatismo, si ispiri sempre alle profonde ragioni spirituali ed ecclesiali dell’attività caritativa cristiana. Papa Benedetto XVI nella sua Enciclica Deus caritas est, è pienamente consapevole di questo pericolo. Egli, infatti, afferma che “la competenza professionale è una prima fondamentale necessità, ma da sola non basta. Si tratta, infatti, di esseri umani, e gli esseri umani necessitano sempre di qualcosa in più di una cura solo tecnicamente corretta. Hanno bisogno di umanità. Hanno bisogno dell’attenzione del cuore. Quanti operano nelle Istituzioni caritative della Chiesa devono distinguersi per il fatto che non si limitano ad eseguire in modo abile la cosa conveniente al momento, ma si dedicano all’altro con le attenzioni suggerite dal cuore, in modo che questi sperimenti la loro ricchezza di umanità” (Deus caritas est, n. 31a). In effetti, l’uomo non può essere parcellizzato fra dimensione pubblica o privata, fisica o psicologica, terrena o celeste, religiosa o profana. Piuttosto, la persona deve essere vista nella sua interezza e integrità di fronte al Padre celeste. Questo è il motivo per cui la carità cristiana è sempre al servizio della persona nella sua totalità, in anima e corpo. Solo attraverso un approccio integrale alla persona si devono trovare le soluzioni che vanno alla radice dei problemi e che aiutano a sviluppare pienamente le persone.

4.         Anche nell’ambito del territorio della Diocesi di Trieste, si stanno producendo i dolorosi e, spesso, drammatici problemi connessi a una crisi economica che continua a lasciare molte persone, soprattutto giovani, senza lavoro e molte famiglie in una condizione di incertezza e precarietà. Cresce in maniera considerevole il numero delle persone povere che si rivolgono alla Caritas diocesana, alle parrocchie, alla mensa dei frati Cappuccini di Montuzza e agli altri organismi cattolici come la San Vincenzo. Di fronte a questa grave situazione la nostra Chiesa continuerà ad esercitare una carità “intelligente” in grado di ascoltare e discernere; una carità organizzata, capace di risposte innovative alla crisi come l’Emporio della solidarietà; una carità che comprenda le cause dei problemi e non si limiti a fornire soltanto i servizi necessari, ma che accompagni anche chi si trova in difficoltà. In tutto questo ci si lascerà guidare dalla fede cristiana che deve costituire l’anima di ogni attività e organizzazione caritativa. Questa salutare prospettiva dovrà orientare la formazione di coloro che sono impegnati in ambito caritativo, soprattutto degli operatori della Caritas diocesana. Benedetto XVI indicò come paradigma la “formazione del cuore”: si tratta di consentire al Vangelo di permeare i sentimenti e i pensieri, in modo che l’attività caritativa sia un richiamo forte all’amore di Dio.

5.         Su queste premesse – che richiamano sia il dato di una crisi economica sempre più severa, sia la volontà della nostra Chiesa di impegnarsi in una carità intelligente verso chi si trova nel bisogno – il Consiglio Presbiterale Diocesano ritiene di dover fornire alcuni orientamenti da applicarsi nei casi di persone che elemosinano alle porte delle chiese. Si lascia ovviamente alla saggezza e al discernimento dei parroci la loro puntuale applicazione.

a)         Per affrontare al meglio le complesse situazioni che presentano le persone che elemosinano alle porte delle chiese, fondati motivi richiedono che non si dia denaro, ma che le si inviti a rivolgersi alla Caritas diocesana che possiede gli strumenti necessari per aiutarli al meglio.

b)         Si provveda a rendere pubblica questa decisione presso gli interessati e presso i fedeli che frequentano le chiese, fedeli che vanno invitati a destinare alla Caritas diocesana, tramite la parrocchia, le loro elargizioni. Si potrà in questo modo, prevenire il rischio, sempre incombente, che le elemosine finiscano, di fatto, in circuiti malavitosi che vanno isolati e combattuti e che poco hanno a che fare con l’aiuto ai poveri.

c)         Si impegna il Direttore della Caritas diocesana a prodigarsi per stabilire quelle necessarie e opportune intese e collaborazioni con le Istituzioni comunali dedite all’assistenza sociale e con le Forze dell’ordine per fare in modo che i poveri vengano effettivamente aiutati, liberandoli anche da condizionamenti lesivi della dignità della persona umana.

d)         Si impegnano i parroci a mantenere costanti e collaborativi contatti con la Caritas diocesana e con il suo Direttore per ogni evenienza che si presenti.

6.         I tanti e crescenti bisogni dei poveri presenti nel territorio, comportano un impegno più generoso da parte dei cristiani che sono invitati a rispondere alla vocazione alla carità, dedicando parte del loro tempo in attività del volontariato cristiano. I volontari sono un raggio luminoso di speranza in una società spesso oppressa dalle tenebre dell’egoismo. Per riprendere le parole di Benedetto XVI, “L’amore è gratuito; non viene esercitato per raggiungere altri scopi. Ma questo non significa che l’azione caritativa debba, per così dire, lasciare Dio e Cristo da parte. È in gioco sempre tutto l’uomo. Spesso è proprio l’assenza di Dio la radice più profonda della sofferenza. Chi esercita la carità in nome della Chiesa non cercherà mai di imporre agli altri la fede della Chiesa. Egli sa che l’amore nella sua purezza e nella sua gratuità è la miglior testimonianza del Dio nel quale crediamo e dal quale siamo spinti ad amare” (Deus caritas est, n. 31).

L’11 maggio, memoria liturgica di Maria, Madre e Regina, il Vescovo diocesano, dopo aver approvato la Nota, ha disposto che venga resa pubblica e illustrata al popolo.