Messaggio per la Quaresima

DIOCESI DI TRIESTE

MESSAGGIO PER LA QUARESIMA

 

I miracoli di Gesù, il miracolo della fede

 

 

 

 

Carissimi fratelli e sorelle!

 

1.         Con il Mercoledì delle Ceneri è iniziato il cammino quaresimale che si concluderà nella solennità gioiosa della Pasqua di risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo.

Lungo questo cammino, accanto ad ognuno di noi, ci sarà la Chiesa che, con sapiente assiduità, ci proporrà la Parola del nostro Dio, esortandoci: “… a non accogliere invano la grazia di Dio … Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!” (2Cor 6, 1-2). Che la Quaresima sia un tempo favorevole e di grazia, la Chiesa ce lo fa capire attraverso il gesto, austero e severo, con il quale prende avvio il cammino quaresimale: l’imposizione della ceneri, accompagnata dall’esortazione: “Convertiti e credi al Vangelo”, “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai”. È vero, fratelli e sorelle, siamo polvere e in polvere ritorneremo, ma, agli occhi amorosi e misericordiosi di Dio, siamo una polvere preziosa perché, creati da Dio, da Dio stesso siamo stati destinati all’immortalità. Il nostro destino non è prefigurato dal vecchio Adamo, ma dal nuovo Adamo, Gesù Cristo che, con la grazia della sua morte e risurrezione, ci consente di far morire il nostro uomo vecchio legato al peccato e a far nascere l’uomo nuovo trasformato dalla grazia divina. A metterci dentro in questa singolare e salutare dinamica dal vecchio al nuovo uomo è l’invito alla conversione – che in Quaresima si fa particolarmente pressante e insistente –, invito da onorare con la massima serietà, perché si ha a che fare non con una questione di poco conto, ma con la direzione fondamentale della nostra vita. Convertirsi implica e comporta l’abbandono di stili di vita superficiali, incoerenti ed illusori, che spesso ci trascinano fuori strada, ci dominano e ci rendono schiavi del male e del peccato o, comunque, prigionieri della mediocrità morale. Con la conversione, invece, si punta alla misura alta della vita cristiana, affidandoci a Gesù Cristo, nostro Vangelo vivente e personale: è, infatti, la sua Persona la meta finale e il senso profondo della conversione, è Lui la via sulla quale siamo chiamati a camminare nella vita.

2.         In questo Anno, che il Santo Padre Benedetto XVI ha voluto sia dedicato alla riscoperta della fede e che vede la nostra Chiesa diocesana fervorosamente impegnata nel Sinodo della fede, dobbiamo avvertire con maggiore sensibilità e prontezza spirituali l’invito che la Chiesa ci rivolge: “Convertiti e credi al Vangelo”. La conversione è, in definitiva, rispondere con il totale della fede, un che comporta la consegna della propria esistenza a Cristo, il Quale per primo si offre a noi come via, verità e vita, come Colui che solo ci libera e ci salva. Su questa linea, per la Quaresima dell’anno scorso, avevo proposto un Messaggio che sollecitava l’incontro con Gesù, andando a scoprire nei Vangeli i tanti incontri di Gesù con le persone del suo ambiente. Anche per la Quaresima di quest’anno, il presente Messaggio andrà nella direzione di sollecitare un rinnovato incontro con Gesù, ma tenendo presente quei brani dei Vangeli dove gli incontri di Gesù sono stati resi più mirabili e significativi da eventi fuori dal comune: i miracoli. Ci soffermeremo quindi su alcune pagine evangeliche dove vengono narrati questi interventi taumaturgici di Gesù. Prima, però, di prendere in considerazione questi fatti straordinari è opportuno dire una parola previa che contenga una qualche risposta chiarificatrice alla legittima curiosità su cosa sia il miracolo. Senza andare a scomodare questo o quel teologo, ci limitiamo ad una fonte di informazioni cristiane, ricca e sicura, come il Catechismo della Chiesa Cattolica – tanto raccomandato dal Santo Padre Benedetto XVI –, che affronta l’argomento al n. 549. Guidati da questo autorevole testo – di cui ricordiamo con viva gratitudine il 20° anniversario della sua pubblicazione –, veniamo sollecitati a far tesoro di questi dati essenziali e assai preziosi: Gesù ha compiuto miracoli non per soddisfare la curiosità e i desideri di qualcosa di magico, ma li ha sempre collegati con la fede e con la concreta esperienza del credere. Essi, da una parte, testimoniamo che Gesù è il Figlio di Dio, che compie fedelmente le opere del Padre e, dall’altra, sono posti per sollecitare la fede in Lui, a credere a Lui. È, infatti, il riferimento al dinamismo della fede il criterio che ci consente una corretta comprensione e interpretazione dei miracoli.

3.         L’ambiente culturale in cui siamo inseriti e, talvolta, troppo immersi, è poco propenso a dar credito ai miracoli che, in genere, vengono considerati con sprezzante disinteresse, perché ritenuti contrari alla ragione e alla scienza, anche se l’esito paradossale di questo razionalismo scientista è l’ingrossarsi continuo e progressivo delle fila dell’esercito dei creduloni, molti dei quali sono scioccamente dediti a spendere delle fortune per cose come l’occulto, il magico e il paranormale. Come cristiani teniamoci lontani da questa mercanzia. Esercitiamoci, invece, a rendere spiritualmente familiare il senso del miracolo, con una contemplazione appassionata dei mirabilia Dei, delle cose meravigliose che Dio ha fatto e continua a fare per amore nostro. Solo qualche

richiamo in questa salutare direzione.

–        La creazione intera è un miracolo uscito dalle mani di Dio; un miracolo da contemplare con occhi pieni di stupore, che ci consentano di conoscere adeguatamente il mondo in cui viviamo.

–        L’uomo è un miracolo straordinario, che è tale per il mirabile intrecciarsi di anima e di corpo, di materia e di spirito, nell’unità di una sola e irripetibile persona. Come non avvertire nella contemplazione di questo miracolo il senso profondo della dignità e della preziosità della propria persona e di ogni persona umana. Tutti i razionalismi che credono solo a quello che toccano, alla fine manifestano una concezione meschina dell’uomo.

–        Miracolo è l’amore tra l’uomo e la donna aperto alla vita. Amore spirituale e corporeo che Dio ha scelto fin dall’origine come spazio vivo e vitale in cui si perpetua la Sua opera creatrice attraverso la procreazione umana.

–        Miracolo è la vocazione che Dio assegna ad ogni uomo; miracolo è anche il destino soprannaturale di amicizia con Lui, di grazia e di intimità che la santa Trinità ha assegnato a tutti gli uomini.

–        Miracolo è la libertà umana, soprattutto quanto si trova a decidersi se assecondare la volontà di Dio o se contrastarla rovinosamente. In questo caso, miracolo è tutta l’opera di salvezza, con cui Dio continuamente riconcilia a Sé il mondo.

–        Miracolo è la Chiesa, Madre e Maestra, che, illuminata dalla luce di Cristo, è nella storia del mondo il segno e il richiamo divini all’unità e alla fraternità, come ci insegna la Costituzione dogmatica Lumen Gentium del Concilio Ecumenico Vaticano II, di cui stiamo commemorando il 50° anniversario della sua apertura (cf Lumen gentium n. 1).

–        Miracolo è soprattutto Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, nel quale tutti i miracoli sopra richiamati vengono riassunti e resi efficaci, a partire da un miracolo di fondo: quello dell’Incarnazione del Figlio di Dio.

4.         I miracoli di Gesù – che troviamo raccontati nei Vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni – sono tutti, pur con intenzionalità diversificate, delle porte che ci introducono all’incontro di fede con il Signore Gesù.

Il primo miracolo che propongo sono le nozze di Cana, narrato dall’evangelista Giovanni (cf Gv 2,1-12). Siamo a Cana di Galilea, un piccolo villaggio a pochi Km da Nazaret. Nel paese si sta celebrando il matrimonio di due sposi. Erano probabilmente gente povera, perché nel bel mezzo della festa viene a mancare il vino. A risolvere l’imbarazzante situazione, interviene Gesù che cambia miracolosamente l’acqua in vino. Domandiamoci: cosa significa tutto questo? Giovanni mette in gran risalto che il segno (così l’evangelista chiama i miracoli) che Gesù compie a Cana di Galilea è il primo dei segni. I segni di cui parla Giovanni sono, di fatto, dei gesti che compendiano e manifestano una realtà immensamente più profonda di quanto lo sguardo possa percepire lì per lì. Infatti, dicendo che in Cana di Galilea “fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù” e che lì “egli manifestò la sua gloria” (v. 11), Giovanni ci fa incontrare direttamente la Persona di Gesù Cristo, quale nuovo Messia. In particolare, le nozze di Cana segnano l’inizio della missione di Gesù, quale Rivelatore definitivo di Dio. Partecipando alle nozze umane, Gesù celebra pubblicamente le sue nozze con l’umanità, inaugura cioè l’Alleanza nuova nella sua Persona di Figlio di Dio, fatto uomo, unito indissolubilmente alla storia umana. Ma, lo stesso evento è anche l’inizio della Chiesa, raccolta qui nella fede di Maria e dei discepoli: “… e i suoi discepoli credettero a lui” (v. 11). Perciò, col primo dei segni, compiuto a Cana di Galilea, Gesù annuncia la fine dell’Alleanza antica e dà inizio all’Alleanza nuova nella sua Persona. L’antica Alleanza era fondata sulla legge di Mosè, dove l’osservanza dei precetti si riduceva spesso a un qualcosa di esteriore; la nuova Alleanza, invece, è fondata sull’amore di Dio per l’uomo e sulla risposta di fede e di amore dell’uomo verso Dio e verso il prossimo. Di tale Alleanza Gesù Cristo è il perno e il contenuto.

5.         Il secondo miracolo che prendiamo in considerazione è la moltiplicazione dei pani, anche questo presente nel Vangelo di Giovanni (cf Gv cap. 6). Di fronte ad una folla affamata Gesù moltiplica il pane. Dopo il racconto del miracolo, il capitolo continua con un famoso discorso che pone a tema proprio il pane (cf Gv 6,22-71). Si tratta di una sequenza di sette brevi dialoghi tra Gesù e le persone che si trovano con Lui. Ecco la sequenza dei sette dialoghi che compongono il lungo discorso e che mostrano le esigenze che la fede in Gesù traccia per la vita del credente e del discepolo. Primo dialogo: la gente cerca Gesù perché vuole più pane (cf Gv 6,22-27); secondo dialogo: Gesù chiede alla gente di procurarsi il pane vero (cf Gv 6, 28-33); terzo dialogo: il pane vero è fare la volontà di Dio (cf Gv 6,34-40); quarto dialogo: chi si apre a Dio accetta Gesù e la sua proposta (cf Gv 6,41-51); quinto dialogo: carne e sangue, espressioni della vita e del dono totale (cf Gv 6,52-58); sesto dialogo: senza la luce dello Spirito non si capiscono queste parole (cf Gv 6,59-66); settimo dialogo: confessione di Pietro (cf Gv 6,67-71). Su questo lungo e affascinante brano evangelico è opportuno fare qualche breve riflessione che orienti nella direzione di coglierne in profondità la ricchezza spirituale. La prima considerazione da fare riguarda la gente. Essa vede il miracolo, ma non capisce che si tratta di un segno che rimanda a qualcosa di più grande e di più profondo. Si ferma alla superficie del fatto. Gesù chiede di fare un passo in più: non di affaticarsi per il pane che perisce, ma di procurarsi anche il cibo che non perisce. Questo nuovo pane dà la vita per sempre. La gente chiede che cosa bisogna fare per realizzare l’opera di Dio e Gesù risponde credere nell’invito di Dio! Cioè, credere in Gesù, che dice di sé: Io sono il pane della vita! È Lui il vero alimento che sostenta la persona, che dà per sempre una vita nuova. Seguono due altri inviti da parte di Gesù che, in buona sostanza, non sono accolti. Il primo: mangiare la carne di Gesù, che significa accettare Gesù come il nuovo agnello pasquale, che libera dalla schiavitù del peccato. Il secondo: bere il sangue di Gesù, che significa assimilare la stessa maniera di vivere che ha segnato la vita di Gesù. Tutti possono cogliere qui il sostanziale riferimento all’Eucaristia: partecipando alla santa Messa, sacrificio del Corpo e del Sangue del Signore Gesù, assimiliamo la sua vita, la sua donazione, la sua dedizione. Non possiamo congedarci da questo brano evangelico senza una parola sulla bella confessione di Pietro che mette in risalto la relazione tra miracolo e fede. Alla fine del lungo discorso sul pane, la folla abbandona Gesù e accanto a Lui rimangono solo i Dodici che sono interpellati: Volete andarvene anche voi? Gesù preferisce rimanere solo, piuttosto che essere accompagnato da persone che non s’impegnano nel progetto del Padre. La risposta di Pietro è una straordinaria professione di fede: Da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna! Pur senza capire tutto, Pietro accetta Gesù e crede in Lui. Fermiamoci qui, con questo mirabile atto di fede di Pietro, non senza aver evidenziato che, tra i Dodici, c’era Giuda – chiamato in questa circostanza diavolo –, che non accetterà Gesù quale Servo sofferente e la sua proposta di fede.

6.         Il miracolo che prendiamo ora in considerazione è la guarigione del paralitico, raccontato dall’evangelista Marco (cf Mc 2, 1-12). Siamo a Cafarnao e il malato è portato su un lettuccio da quattro amici pieni di fede che lo calano dal tetto della casa, attraverso le tegole, proprio davanti al Maestro, il quale, in questa particolare occasione, dimostra di possedere il potere stesso di Dio, un potere radicale che va fino alle radici del male, cioè fino al peccato. Egli libera soprattutto dal peccato: “Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico – : alzati, prendi la tua barella e va a casa tua” (Mc 2, 10-11). E mentre il paralitico comincia a guarire nell’anima, gli scribi presenti cominciano ad ammalarsi nel cuore. “Perché pensate a queste cose nel vostro cuore?”, chiede loro Gesù: preferiscono vedere in Gesù un bestemmiatore, piuttosto che sussultare di gioia al presentimento che Dio si sia finalmente avvicinato, e un mondo nuovo, di perdono e di gioia, stia per cominciare.

Il miracolo che riguarda il paralitico ci istruisce che Gesù guarisce dallo stato di peccato, che è la paralisi di tutte le energie vitali dell’uomo, dona un cuore nuovo e crea inedite possibilità di vita. Il potere miracoloso di Gesù è sempre al servizio della nostra vita, ci libera dalle miserie che ci paralizzano, dall’impotenza della volontà peccatrice che ci consegna pigramente a una vita meschina e ripiegata su se stessa. Con il dono della fede, del credere in Lui, Gesù ci fa alzare e camminare, ci fa andare a casa nostra ciascuno ai propri impegni e alle sue responsabilità con rinnovato entusiasmo e voglia di vivere. Pieni di fede in Gesù, impariamo da Lui a non arrenderci a nessuna difficoltà, a nessun ostacolo, a nessuna delusione. Se anche il nostro passato è stato reso pesante da tante peccaminose infedeltà, Gesù, ora, crea una possibilità di vita nuova: il suo perdono è una forza e una sorgente inesauribile di fiducia e di speranza.

7.         L’altro racconto miracoloso che prendiamo in considerazione è quello che vede protagonista una donna che soffriva di continue emorragie (emorroissa), che troviamo nel Vangelo di Marco (cf Mc 5, 25-35). La poveretta non era solo un’inferma in cerca di guarigione, ma era una disgraziata caduta in mano di medici senza scrupoli; “… spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando” (v. 26). La donna era dunque oppressa da una malattia che le pesava addosso con tutto il suo corteo di speranze frustrate, di inganni continui, di medici ciarlatani, di cure dolorose e inutili. E, come se ciò non bastasse, si trattava di una malattia allora considerata umiliante e che rendeva la donna impura e intoccabile, emarginandola dalla vita sociale della comunità. Una tale donna, con una tale vicenda, era come una malattia vivente, in tutti i suoi aspetti degradanti. E un uomo toccato da tale donna – soprattutto un uomo di Dio – veniva contaminato. Ed è per questo motivo che l’emorroissa toccò di nascosto la veste di Gesù, quasi di sfuggita, e restò “impaurita e tremante” (v. 33) al vedersi scoperta. “Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata” (v. 28): la povera donna aveva accumulato in cuore una tale fede in Gesù, una tale certezza – chissà da quanto lo seguiva e lo osservava – che considerava ormai anche un solo fuggevole tocco della sua veste come decisivo. Ella intuì quello che sarebbe accaduto: non lei avrebbe contagiato Gesù, ma Gesù avrebbe contagiato lei con la sua santità, con la sua salvezza. E così – mentre la folla si stringeva addosso a Gesù e quasi lo schiacciava – lei sola veramente lo toccò! Quello che non aveva previsto e messo in conto fu che Lui avrebbe sentito la “forza che era uscita da Lui” (v.30). Alla donna improvvisamente guarita, Gesù spiegò che quella forza sanante ella l’aveva attirata a sé con la propria fede: “Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male” (v. 34). Per chi crede non ci sono più frontiere: né la malattia, né la morte sono barriere al potere sanante di Gesù. Ma, il potere sanante di Gesù non si esercita al di fuori della personale relazione di fede con Lui.

8.         Restiamo ancora nel Vangelo di Marco per seguire il racconto della guarigione miracolosa di un lebbroso (cf Mc 1,40-45). È una guarigione che possiamo definire esemplare, perché si presenta come riassuntiva di tutti gli innumerevoli miracoli di guarigione compiuti da Gesù. Essa, infatti, è raccontata come conclusione di una vastissima attività taumaturgica di Gesù: “Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portarono tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie …” (vv. 32-34). Un’intera città di malati preme, realisticamente e simbolicamente, alla porta della casa dove abita Gesù. Si tratta della casa di Pietro: la Chiesa è già qui annunciata in tutto il suo mistero e la sua bellezza. Veniamo al miracolo con il quale Gesù guarisce il lebbroso, con una breve premessa esplicativa. Ai tempi di Gesù, il popolo ebraico aveva un atavico ribrezzo verso le malattie della pelle, che noi denominiamo con la parola lebbra. Difendere l’integrità della “pelle”, significava difendere e custodire la purità della razza. L’insolito, l’anormale, il disordine e la malattia appartenevano alla sfera dell’impuro; tutto ciò che è vita, ordine, salute apparteneva alla sfera del puro. Poiché il popolo era consacrato a Dio e viveva nella sfera del puro e del sacro, esso doveva espellere da sé tutto ciò che apparteneva all’ambito dell’impuro e del non-sacro. Questa premessa è assai utile per capire la condizione del lebbroso: non poteva far parte della città; doveva avvertire da lontano perché tutti si scostassero al suo passaggio; doveva proclamare ad alta voce di essere immondo ed intoccabile. Di fronte a questa situazione Gesù cosa fa? Non si allontana dall’impuro e non rifiuta il contatto con esso, piuttosto incarna il puro che attira nella propria sfera l’impuro. Il lebbroso gli dice: “Se vuoi puoi purificarmi!” (v. 40). Ora, secondo la concezione giudaica, soltanto Dio poteva guarire dalla lebbra. Così dicendo, dunque, il lebbroso venne alla fede in Gesù. E dall’altra parte, Gesù va al lebbroso stendendo la mano e toccandolo. In questo modo, viola la prescrizione che vieta di toccare i lebbrosi. Lo stendere la mano indica la potenza di Gesù, che è manifestata anche dalla sua parola imperiosa: “Lo voglio, sii purificato” (v. 41). La legge imponeva di emarginare i lebbrosi. Gesù va loro incontro, li tocca, li sana e li reintegra nella comunità. Con Gesù il puro va all’attacco dell’impuro, con Gesù si è manifestata la forza risanatrice di Dio, con Gesù si possono risanare i cuori malati delle persone e ridare una postura corretta alla nostra zoppicante società.

9.         Prendiamo ora in considerazione quell’attività taumaturgica di Gesù rivolta a liberare le persone dai demoni. Il suggerimento è quello di andare a leggere nel Vangelo di Marco i seguenti brani: 1, 23-27; 5, 1-20; 9, 14-29. Chi ha qualche consuetudine, non rapsodica e non superficiale, con la lettura dei testi dei Vangeli sa che essi parlano assai spesso di possessioni diaboliche che si manifestano anche attraverso forme parossistiche di malattie fisiche, espressive della devastazione interiore. Certo, non ogni malattia è azione di Satana, ma non c’è azione diretta di Satana che non provochi una qualche malattia del corpo. La ragione? Da sempre la Chiesa sa e insegna che Satana ha in odio quel miracolo stupendo che è l’unità corporea-spirituale dell’uomo, miracolo frutto dell’amore creatore di Dio, che ha trovato il suo pieno manifestarsi nell’Incarnazione di Gesù. E Satana odia in modo abissale proprio il Mistero santo dell’Incarnazione di Gesù Cristo. È difficile, se non impossibile, capire qualcosa dei Vangeli se non ci si accorge della lotta senza tregua che Satana conduce contro il Regno di Cristo: è la lotta contro uno più forte di lui (cf Mt 12, 29). È la lotta di uno spirito immondo contro Gesù che opera “per mezzo dello Spirito di Dio” (Mt 12, 25-28). Di fronte ci sono due regni, quello di Cristo e quello di Satana e la posta in gioco è la salvezza o la perdizione dell’uomo. Il racconto che meglio ci consente di capire i termini di questa lotta è quello che ci parla di un padre e di un fanciullo, un epilettico indemoniato, che troviamo nel Vangelo di Marco (cf Mc 9, 14-29). Il fanciullo viene miracolosamente guarito da Gesù. Chi vorrà dedicare un po’ del suo tempo a leggere questo brano di Marco, si accorgerà di essere di fronte a uno dei più bei dialoghi del Vangelo: dialogo tra il Salvatore che tutto può e l’uomo dalla fede fragile alle prese con il mistero dell’iniquità. L’incontro e la grazia accadono quando l’uomo impara ad offrire al Signore quella poca fede che già ha proprio mentre chiede in dono quella fede che ancora non ha. Il padre del fanciullo afferma: “Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci”. Gesù gli disse: “Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede”. Il padre del fanciullo rispose subito ad alta voce: “Credo; aiuta la mia incredulità!” (vv. 22-24). Il brano termina con una preziosa precisazione di Gesù, questa volta rivolta ai suoi discepoli: “Questa specie di demoni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera” (v. 29).

10.       Prendiamo in considerazione ora i miracoli di Gesù che hanno un qualche legame con il mare: nel lago di Tiberiade Gesù offre a Pietro la pesca miracolosa (cf Lc 5, 1-11), placa la tempesta che squassa la barca minacciando di affondarla (cf Mt 8, 23-38) e, sullo stesso lago agitato dal vento, una notte egli cammina incontro alla barca dei discepoli (cf Mt 14, 24-33). Alcuni interpreti pensano che questi episodi siano solo dei racconti con fini didattici, senza una reale consistenza storica: la notte di pesca infruttuosa simbolo del nostro vivere faticoso; il mare in tempesta simbolo dei turbamenti dell’esistenza; simbolico anche il grido dei discepoli nel mare del mondo: “Salvaci, Signore, siamo perduti”. Ma, in fondo, la storicità dei fatti è negata solo perché all’uomo moderno, razionalista e malato di scientismo, dà fastidio l’intrusione di Dio nel preciso meccanismo dell’universo. E invece con Gesù è in questione proprio questa presenza di Dio nel mondo. Certamente Egli non è venuto a strabiliarci, turbando l’ordine del mondo con la sua potenza – non fu questo lo scopo dei miracoli e questo sarebbe stato indegno di Dio –, ma è venuto a rassicurarci circa la forza straordinaria del suo amore. Per i molteplici legami con il tema della fede, è opportuno dire una parola sul racconto di Matteo (cf Mt 14, 22-33). Il contesto descritto è drammatico: la barca degli apostoli è squassata da un vento fortissimo. In questa situazione appare Gesù che cammina sulle acque. Egli si presenta con la maestà divina dell’Io sono e incoraggia i discepoli a non temere. A questo punto entra in scena Pietro. Per due volte si rivolge a Gesù con il titolo di Signore; dapprima gli dimostra obbedienza di fede andando verso di Lui, poi, al subentrare dell’esperienza della fragilità umana, con il grido che domanda salvezza. Gesù si manifesta come Colui che salva Pietro dall’abisso. L’episodio si conclude con la professione di fede in Gesù riconosciuto come Figlio di Dio: “Appena saliti sulla barca il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: ‘Davvero tu sei il Figlio di Dio” (v. 33).

11.       Per ultimo ci soffermiamo su tre miracoli di risurrezione: la figlia di Giairo (cf Mc 5, 21-24. 35-42); il figlio della vedova di Nain (cf Lc 7, 11-17); Lazzaro (cf Gv 11). Anche per quanto riguarda questi miracoli, alcuni studiosi tendono a dare interpretazioni puramente simboliche. Ma, vale la pena fare un’osservazione critica, tale perché ancorata alla realtà: troppo realistico sarà il nostro naufragio nella morte, troppo osceno e terribile il nostro naufragio nelle acque assurde della morte, perché ci si possa accontentare di simboli. È poi l’Incarnazione del Figlio di Dio a raccontarci come stanno veramente le cose: con tutto il suo corposo realismo e tutta la sua dirompente forza ci mostra il potere del Signore dispiegato nell’impedire la nostra carnale corruzione. Per il Figlio di Dio incarnarsi ha voluto dire appunto ingaggiare una lotta mortale con la morte degli uomini: questo è il senso di tutta la sua missione. Dei tre miracoli di risurrezione dedichiamo una qualche dettagliata attenzione a quello che riguarda il figlio della vedova di Nain, che era un piccolo villaggio della Galilea a 18 Km a sud-est di Nazaret, posto sul pendio di una collina di fronte al Monte Tabor. Si tratta del primo miracolo di risurrezione compiuto da Gesù. Egli va incontro al mesto corteo che, su una specie di barella, conduce alla sepoltura “un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova” (v. 12). La scena è straziante. Nell’antico Israele – ma sarebbe lo stesso anche al giorno d’oggi – la perdita del figlio unico di una madre vedova era l’immagine del più grande dolore, della più grande sventura (Am 8,10; Zc 12, 10; Gr 6,26). Subito Gesù si rende conto della tragedia che si sta consumando alle porte della città di Nain. Assumendo su di sé il dolore immane di quella vedova, si fa solidale con la sua pena. Lì, in quel preciso istante, con l’intervento miracoloso di Gesù inizia un capovolgimento della situazione: dalla morte alla vita, dal pianto alla gioia, dalla solitudine alla compagnia d’amore tra madre e figlio. Gesù opera il miracolo di risurrezione in forza della sua Parola, che ha il potere di dare la vita anche ai morti: “Ragazzo, dico a te, alzati!” (v 14). In questo modo Gesù rivela di essere nella sua Persona datore della vita. “Chi crede in me non muore in eterno”, ci assicura il Signore.

12.       Cari fratelli e sorelle, siamo giunti al termine di queste riflessioni spirituali sui miracoli di Gesù, che, in un modo o nell’altro, hanno a che fare tutti con la fede, costituendo di fatto un invito pressante a ritrovare la strada della fede nel Signore. Nel leggere i racconti che narrano i miracoli di Gesù ci siamo resi conto che il loro scopo non era quello di strabiliare i presenti, né quello di mostrare la straordinaria bravura di Gesù. Di fatto, i miracoli furono incontri d’amore: incontro tra il bisogno umano che si faceva grido e invocazione e l’Amore incarnato di Dio che rispondeva, raggiungendo e toccando l’uomo anche nella sua fisicità. E quel bisogno umano si tramutava, via via, nel desiderio di conoscere più a fondo il mistero di Cristo e nel suscitare l’amore alla sua Persona. Se qualcuno non si abbandonava a questo desiderio-amore, a questa coinvolgente esperienza di fede, il miracolo non raggiungeva il suo scopo. Così accadde ai nove lebbrosi che se ne andarono guariti senza sentire il desiderio di tornare a ringraziare Cristo. Tornò solo il decimo, uno straniero di Samaria, e solo a lui Gesù disse: “Alzati e và, la tua fede ti ha salvato” (Lc 17, 19).

I miracoli di Gesù sono tutti finalizzati a suscitare il miracolo della fede. E anche i miracoli che sono accaduti lungo la storia della Chiesa e continuano ad accadere sono anch’essi tutti orientati a coltivare il miracolo della fede. L’agiografia cristiana, infatti, ci presenta innumerevoli e inconfutabili documenti in questa direzione. Soprattutto continua ad essere all’opera, nella Santa Messa, il miracolo del Corpo e del Sangue di Cristo che attrae a sé i nostri corpi mortali, guarendoli dalla corruzione. I verbi cristiani non sono vivere o morire, ma convivere con Cristo, conmorire con Cristo, conrisorgere con Cristo. E sono tutti verbi attuali, che alimentano i miracoli quotidiani di una fede vissuta nella speranza e nella carità. Sì, miracoli quotidiani: penso all’umanità dolce e matura di chi ha incontrato Cristo e vive da tempo in sua compagnia; al riscatto di esistenze distrutte e distruttive; all’esperienza del centuplo in questa vita che Cristo ha promesso e garantito a quelli che veramente lo seguono; alla forza dei martiri, dei vergini e dei testimoni; alla continua ripresa della Chiesa, dopo ogni infedeltà; ai mistici; amore bruciante a Cristo, oggi come il primo giorno.

Cari fratelli e sorelle, affidiamo alla Madonna il nostro cammino quaresimale di conversione e di fede: a Lei, Vergine e Madre della fede cristiana, a Lei che è un miracolo mirabile della santa Trinità, del Padre che si avvicina a Lei quanto a nessun’altra; del Figlio che si incarna in Lei e prende da Lei la sua natura umana; dello Spirito Santo che in Lei si può effondere totalmente. In Lei, e per mezzo suo, tutto il genere umano dice (fiat) a Dio, senza alcuna riserva. E Dio può dispiegare tutta la sua miracolosa potenza di misericordia e di amore per l’umanità, perché Maria crede che niente è a Lui impossibile.

 + Giampaolo Crepaldi
Arcivescovo – Vescovo di Trieste

Trieste, 13 febbraio 2013

Mercoledì delle Ceneri