Mandato ai catechisti e agli insegnanti di religione

DIOCESI DI TRIESTE

 

Mandato ai catechisti e agli insegnanti di religione

 

+Giampaolo Crepaldi

Cattedrale di San Giusto, 5 novembre 2012

 

 

Carissimi catechisti e insegnanti della religione cattolica nelle scuole,

 

1.            Sono lieto di celebrare questa Santa Eucaristia nella quale abbiamo modo di accogliere, con devota partecipazione, la grazia incommensurabile che giunge a noi dal Sacrificio sulla Croce di nostro Signore Gesù Cristo. L’offerta che il Signore fa di sé al Padre, in piena obbedienza alla Sua santa volontà, è la cornice migliore dentro cui inscrivere il mandato che tra poco vi darò: essere, con modalità diverse tra catechisti e insegnanti, colo che trasmettono la fede cattolica. Ci aiutano in questo le letture bibliche, che sono particolarmente ricche di spunti stimolanti che ci aiutano a cogliere il significato del mandato che vi abilita all’esercizio del ministero ecclesiale della traditio fidei. San Paolo, infatti, ci ammonisce a coltivare la consapevolezza che siamo collaboratori di Dio nella trasmissione della Parola di Dio, Parola che riceve la sua forma e il suo contenuto dalla Tradizione della Chiesa e dalla Sacra Scrittura. Non una parola nostra siamo chiamati a trasmettere, ma quella che Dio stesso ci ha rivelato e donato, per grazia. Il profeta Ezechiele ci invita a contemplare, con grato stupore spirituale, il miracolo della presenza di Dio nel suo Tempio, mentre il Vangelo ci racconta con quanta decisione e forza Gesù si mosse nel procedere alla purificazione del Tempio, occupato dal colorito mondo dei commercianti del tempo. Le letture ci propongono quindi un itinerario, spirituale e pastorale, di grande significato: essere contemplatori di Dio; essere collaboratori di Dio; essere difensori dei diritti di Dio. Un singolare programma di vita, particolarmente valorizzato dal fatto che questo è l’Anno della fede, l’anno del 50° Anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, l’anno che ha visto l’apertura del V Sinodo diocesano, il Sinodo della fede. In questo contesto permettetemi alcune raccomandazioni, che formulo facendo tesoro del documento sinodale denominato Lineamenta, che vi invito a leggere e a meditare anche se non siete sinodali.

2.            Carissimi, la storia cristiana ci ammonisce che vivere e annunciare la fede è sempre stato difficile. Se oggi lo è più che in altri tempi, ciò dev’essere motivo in più sia per conoscere maggiormente e fortificare la nostra fede cristiana, sia per cercare vie nuove di evangelizzazione. La perdita del senso della vita a cui conduce il secolarismo, il baratro che apre dinanzi all’uomo moderno il nichilismo negatore e distruttore dei valori umani, il vuoto creato dal materialismo e dal consumismo, possono essere occasioni preziose per richiamare gli uomini d’oggi a riflettere sulla fede cristiana. Essa, proponendo l’incontro con Gesù può dare a ogni uomo e a ogni donna un rinnovato senso del vivere su questa terra e aprirli alla speranza della vita eterna nella comunione con l’Amore trinitario, ultimo termine dell’aspirazione umana alla gioia e alla pienezza della vita. Prima di invitare gli altri, l’incontro con Gesù lo dobbiamo vivere noi. Nella persona di Cristo, che ci chiama e ci attira, chiedendoci ad affidarci a Lui e alla sua Parola, ad accettare il mistero che Egli annuncia e la salvezza che Egli porta con la sua persona e con la sua opera redentrice. Nella nostra persona di credenti che, sentendo nel profondo del nostro spirito che solamente in Cristo si può provare la pienezza di senso dell’esistenza, rispondiamo alla chiamata di Cristo con tutto il nostro essere, in ciò che questo ha di più intimo e di più personale. Nella fede, ognuno di noi impegna tutto se stesso, perché su di essa si gioca il nostro destino.

3.            La fede cristiana, oltre a possedere un carattere personale, ha, per sua natura, un carattere comunitario: è, nello stesso tempo, un Io credo e un Noi crediamo. La fede è un credere insieme dentro la Chiesa, cioè all’interno di una comunità credente. La Chiesa educa alla fede, accompagna e sostiene la personale professione di fede del credente, ne corregge le imperfezioni, aiuta a risolvere i dubbi e le incertezze, la rende più pura e più forte. Per questo motivo, anche qualora non se ne renda conto, il cristiano, nella sua fede, è sempre unito a tutta la Chiesa. La dimensione comunitaria della fede ci consente di capire che non si può cercare e trovare Cristo fuori della Chiesa e presumere di essere sotto l’azione profetica dello Spirito Santo, restando fuori di essa o, peggio, contro di essa. Scrisse Sant’Agostino: “Abbiamo lo Spirito Santo se amiamo la Chiesa; ma amiamo se restiamo nella sua unità e carità”[1]. Il carattere comunitario della fede ci induce, pertanto, a coltivare un amore incondizionato alla Chiesa, nostra Madre e Maestra nella fede e nostra patria spirituale.

 

4.            Carissimi, dobbiamo riscoprire l’intrinseca dimensione missionaria della nostra Chiesa (cf Ad gentes, n.2). Il grande papa Paolo VI scrisse nell’Evangelii nuntiandi: “Evangelizzare tutti gli uomini costituisce la missione essenziale della Chiesa. Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare” (n. 13). Questa illuminante affermazione di Paolo VI ci presenta la missione non come una necessità contingente, ma come una dimensione essenziale della Chiesa stessa: la Chiesa non semplicemente fa missione, ma è missione. La Chiesa nasce come intreccio di rapporti umani generato dalla comunicazione della fede (kerygma), perché fede e comunicazione – cioè fede e atto missionario – sono il principio genetico intrinseco della Chiesa. Se cessasse la comunicazione della fede (traditio et redditio fidei) cesserebbe la Chiesa.

 

5.            Per ultimo, un breve richiamo al tema della pedagogia della fede (cf Direttorio generale per la catechesi, nn. 143-144): “Quando si parla della pedagogia della fede, non si tratta di trasmettere un sapere umano, anche se il più elevato; si tratta di comunicare nella sua integrità la rivelazione di Dio. Dio medesimo, nel corso della storia sacra e soprattutto nel vangelo, si è servito di una pedagogia, che deve restare come modello per la pedagogia della fede. Una tecnica non ha valore, nella catechesi, se non nella misura in cui si pone al servizio della trasmissione della fede e dell’educazione alla fede; in caso contrario non ha alcun valore” (Giovanni Paolo II, Es. Ap. Catechesi tradendae, n. 58). Nella considerazione del tema della pedagogia della fede, consentitemi una puntualizzazione che dovrà essere presa in seria considerazione dalla nostra Chiesa diocesana: la fede comporta anche una precisa dimensione conoscitiva. Questo dato va soprattutto applicato alla catechesi e nella scuola: si deve educare l’intelletto e favorire l’accostamento ai contenuti della fede per come sono proposti nel Simbolo apostolico e nella secolare Tradizione della Chiesa, contenuti che richiedono un’adesione intellettuale prima di tutto e poi esperienziale.

Affidiamo queste buone intenzioni alla Madonna, alla cui materna protezione abbiamo consegnato il nostro cammino sinodale.


[1] In Johan. tr. 32,8 [PL 35, 1646].