sangiusto

Solennità di San Giusto martire

DIOCESI DI TRIESTE

SOLENNITA’ DI SAN GIUSTO MARTIRE

Omelia

+ Giampaolo Crepaldi

Cattedrale, 3 novembre 2012

 

Carissimi fratelli e sorelle, predagi bratjie in sestre,

1.            Quest’oggi, in questa Basilica Cattedrale, la Chiesa e la Città fanno memoria di San Giusto, loro Patrono, il martire che, con il dono della sua vita, è all’origine del patto, da una parte ecclesiale e dall’altra civile, che, ancora oggi, ci consente di dare un senso compiuto al nostro vivere insieme a Trieste. Se, per disgrazia, diventassimo dimentichi di San Giusto e del suo martirio, verrebbero meno anche le ragioni che danno un senso alto a quel patto. Le letture bibliche che sono state proclamate ci orientano verso questa stimolante direzione. Il brano preso dal Libro della Sapienza ci ammonisce, infatti, che il potere che governa i popoli è sano quando ad esercitarlo sono coloro che danno la vita per il popolo al di fuori di ogni interesse egoistico. Il brano della Lettera di San Paolo ai Romani richiama la necessità di radicare la vita, anche quella sociale, su una base trascendente, quella dell’amore di Cristo; un radicamento non facile perché comporta tribolazione, persecuzione, fame, nudità, pericolo, spada, ma che garantisce quella solidità e quella pienezza assolutamente necessarie per dare un senso autentico al vivere personale e sociale. A suggello di questa singolare visione cristiana del vivere giunge a noi la sentenza di Gesù stesso, contenuta nel brano del Vangelo di San Giovanni: “Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (v. 25). Alla logica mondana dell’affermazione egoistica del proprio interesse – logica che alimenta ogni genere di corruzione -, il Signore Gesù oppone la logica, liberante e umanizzante, della fede in Dio, del dono di sé, dell’amore verso il prossimo, la logica, in definitiva, a cui rimase fedele San Giusto fino al martirio. Si colloca in questa salutare prospettiva, l’esigenza di rinnovare ogni anno quello che sopra ho chiamato il patto, ecclesiale e civile, del nostro vivere a Trieste.

2.            San Giusto con la sua fedeltà a Dio fino al dono della vita è all’origine, in primo luogo, del patto ecclesiale che tiene insieme – nella condivisione della stessa fede, della stessa speranza e della stessa carità -, i cristiani di Trieste. Per dare a questo patto il valore che merita, la nostra Diocesi ha avviato l’11 di ottobre il suo V Sinodo, il Sinodo della fede, in concomitanza con l’Anno della fede voluto dal Santo Padre per onorare la memoria del 50° anniversario del grande Concilio Vaticano II. A questo appuntamento di grazia ci siamo preparati per due anni, lasciandoci convincere che i due pilastri su cui poggia il patto ecclesiale sono la Parola di Dio e i Sacramenti, soprattutto il Sacramento dell’Eucaristia. Sono stati due anni di intenso lavoro spirituale e pastorale che ci hanno avvertito della necessità di ritornare all’essenziale, cioè alla fede cristiana, l’elemento più espressivo del nostro patto ecclesiale e quello oggi più necessario.  Per questo motivo, il nostro è il Sinodo della fede: una fede per celebrare, in Cristo e nello Spirito Santo, il Padre nostro che abbiamo nei cieli, il Padre che attende con impazienza la nostra conversione e il nostro ritorno; una fede per evangelizzare con convinzione e gioia, trasmettendola soprattutto alle nuove generazioni; una fede per testimoniare, con la santità della vita e con lo sguardo reso acuto dalla speranza cristiana, la nostra carità e prossimità verso gli ultimi e i poveri; una fede da riscoprire nella sua bellezza e nella sua forza liberante, capace di purificare l’esperienza credente da tante pesantezze creaturali poste in essere dalla nostra umana fragilità.

3.            In secondo luogo, la memoria del martirio di San Giusto, tanto cara a tutta la nostra città, ci sollecita a rinnovare anche il nostro patto di cittadinanza. Se San Giusto, con il dono della sua vita, ne è – sul piano storico ed etico-culturale – l’elemento originario ed esemplare, la cosa che ne insidia il suo dispiegarsi è data da una visione individualista dell’uomo, la quale riduce il bene all’utilità. E’ una visione che, in fondo, continua a insegnare che le ragioni della nostra convivenza sono esclusivamente ragioni di egoismo sociale e di utilità propria. Questa comprensione della società umana, ampiamente vincente nella società occidentale, sta dimostrando, al giorno d’oggi, tutti i suoi limiti: la ricerca del proprio interesse, sia dei singoli sia delle comunità, a spese del superiore bene comune, lascia dietro di sé macerie di ogni genere e un degrado umano e morale nei confronti del quale quello ambientale è poca cosa. Spesso, preoccupati per il degrado ambientale, ci chiediamo quale terra lasceremo alle attuali generazioni; ma la domanda più seria che dobbiamo porci è quella che parte da un’acuta consapevolezza del degrado morale e umano, chiedendoci quale genere di generazioni lasceremo in eredità alla terra. Senza un rinnovato patto di cittadinanza – reso ricco dai valori del rispetto della persona umana e della vita, dei doveri verso gli altri, di responsabilità sociale diffusa anche delle imprese, di condivisione, di fattiva solidarietà, di incessante ricerca del bene comune – rischiamo, giorno dopo giorno, di vivere senza alcun retroterra spirituale, come eredi che hanno già dilapidato il patrimonio ricevuto. L’urgenza di rafforzare, o meglio, di riscrivere il patto di cittadinanza nasce, inoltre, da un grande bisogno di speranza di cui Trieste soffre, dalla necessità di ricuperare la capacità di progettare il suo futuro nel segno dello sviluppo. Le risorse ci sono e vanno messe a frutto: la nostra Università, concepita come luogo di elaborazione di pensieri alti e progetti veri; molte attività imprenditoriali e artigianali – oggetto spesso di polemiche pretestuose – che, nonostante il momento difficile, continuano a produrre e a crescere, difendendo uno dei beni fondamentali, il lavoro; i lavoratori stessi che, nei momenti difficili della nostra città, hanno sempre saputo dar valore alla sua consistenza civile; una società civile operosa e ancora attenta ai bisogni del prossimo, soprattutto a quello in difficoltà; le nostre famiglie, fondate sul matrimonio legittimo, che sono la vera pietra angolare di ogni costruzione sociale.

4.            Se rinnovato nel segno del bene comune, il patto di cittadinanza avrà i suoi benefici effetti sul delicato momento che vive il mondo del lavoro qui a Trieste, dove significative realtà come la SERTUBI e la FERRIERA sono entrate in un pertugio buio dove è venuta a mancare la luce del futuro.  Profitto di questa solenne occasione per assicurare agli operai e alle loro famiglie la vicinanza umana e cristiana della Chiesa tergestina, che estendo volentieri a quanti – penso ai livelli istituzionali regionali e comunali – stanno lavorando, non senza difficoltà, per trovare delle soluzioni percorribili. Tutti noi sappiamo che nel lavoro, la persona umana cerca la realizzazione di se stessa, il compimento della sua vocazione professionale, la costituzione dei rapporti sociali, la promozione del bene comune. Qualificare il lavoro secondo queste esigenze etiche significa che, alla fine, ogni lavoro ha come suo scopo la persona che lavora, non concepita astrattamente come individuo, ma all’interno delle sue relazioni originarie, in primo luogo la famiglia. Partendo da questi presupposti, tutti noi sappiamo che quando manca il lavoro anche tutto il resto rischia di venire meno.

 5.                       Il tema del lavoro richiama quello della scuola, altro ambito in grande fibrillazione contestativa nella nostra città, che ci sollecita ad affrontare un’improcrastinabile questione: quella educativa, da molti ormai descritta come emergenza educativa. Educare non è mai stato facile; oggi, però, sembra diventare sempre più difficile. Sia tra i genitori che tra gli insegnanti e in genere tra gli educatori, è andata crescendo la tentazione di rinunciare, privati come sono della coscienza del loro ruolo, o meglio della missione ad essi affidata. Emergenza educativa, allora, significa non solo la constatazione di una difficoltà ad incidere, ma addirittura uno smarrimento degli stessi educatori su perché educare. Eppure, mai come in questo tempo, educare è fondamentale: educare ai valori, educare alle certezze essenziali che danno senso alla vita. Lo chiedono i genitori, preoccupati e spesso angosciati per il futuro dei propri figli; lo chiedono tanti insegnanti, che vivono la triste esperienza del degrado delle loro scuole; lo chiede la società nel suo complesso, che vede messe in dubbio le basi stesse della convivenza; lo chiedono nel loro intimo gli stessi ragazzi e giovani, che non vogliono essere lasciati soli di fronte alle sfide della vita. Per venire incontro a un plesso di esigenze tanto urgenti la Diocesi ha avviato il Sinodo dei giovani.

Che San Giusto, da secoli nostra guida e nostro patrono, continui ad illuminare il nostro convivere con la luce che giunge a noi dalla mirabile testimonianza del suo martirio, pregandolo di esaudire i nostri voti!