Madonna San Giusto

IL SINODO DELLA FEDE “Permanetis in fide fundati et stabiles” (Col 1,23)

DIOCESI DI TRIESTE
GIAMPAOLO CREPALDI
ARCIVESCOVO – VESCOVO DI TRIESTE

IL SINODO DELLA FEDE
“Permanetis in fide fundati et stabiles
purché restiate fondati e saldi nella fede”
(Col 1,23)

Vengo a voi, cari Presbiteri, Diaconi, Religiosi e Religiose, Persone consacrate e Fedeli Laici nell’imminenza dell’apertura dell’evento sinodale.

 

1.         Il prossimo 11 ottobre prenderà avvio il V Sinodo diocesano, nel 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, che il Santo Padre Benedetto XVI ha deciso di ricordare con l’indizione di uno speciale Anno della fede. Il primo Sinodo della nostra Chiesa diocesana fu quello indetto nel 1374 dal Vescovo mons. Enrico Wildestein; il secondo fu indetto e celebrato nel 1460 dal Vescovo mons. Antonio Goppo; a indire e celebrare il terzo Sinodo nel 1628 fu il Vescovo mons. Rinaldo Scarlicchio; il quarto fu indetto e celebrato nel 1959 dal Vescovo mons. Antonio Santin che avvertì l’urgenza di ricomporre il volto ferito della Chiesa diocesana violentemente colpito dagli eventi bellici della Seconda Guerra Mondiale e dalle loro conseguenze e di impegnarla in una rinnovata missione di riconciliazione e di pacificazione dei popoli di queste terre. Lo ricorda mons. Antonio Santin in una sua lettera al Papa buono, il beato Giovanni XXIII, dove ripercorre gli anni difficili e, insieme, fecondi del suo episcopato: «… ma già il cielo si ricopriva di nubi – eravamo nel 1938 – che portarono alla spaventosa conflagrazione mondiale, chiusasi per gli altri nel maggio 1945, ma non per la mia povera diocesi. Con l’infelice Memorandum del 1954 molta parte della diocesi passò con definitiva provvisorietà al di là della cortina di ferro e la giurisdizione ecclesiastica per queste parti passò a vari Amministratori Apostolici» (Trieste, Domenica di Passione 1959).

 

2.         Il Sinodo voluto e indetto da mons. Santin era chiamato a ridare credibilità e slancio evangelico all’esperienza della fede cristiana vissuta in una Diocesi particolarmente colpita dagli eventi bellici, rinnovandone il volto e aggiornandone la missione pastorale. Si trattò di una sfida difficile, che la Chiesa di Trieste, in piena fedeltà a Gesù Cristo suo Signore e suo Sposo, seppe affrontare, consentendo di continuare ad essere tra i popoli della terra giuliana un punto di riferimento spirituale, morale e culturale. Non sarà meno impegnativa la sfida che attende la Chiesa di Trieste con il prossimo Sinodo diocesano, non più chiamato a fronteggiare le conseguenze della devastazione bellica, ma chiamato a farsi carico di un’altra devastazione, quella caratterizzata da disorientamento spirituale e da disordine morale, esiti pervasivi di complessi processi culturali connessi al secolarismo, all’indifferenza religiosa e a una crescente e strutturata avversione verso la fede cattolica e la Chiesa. Questa situazione particolarmente complessa sul piano pastorale è stata ben descritta dal Santo Padre Benedetto XVI che, nel Motu proprio La Porta della fede con il quale ha indetto l’Anno della fede, ne individua la cifra interpretativa nella crisi della fede: «Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone» (n. 2). Si tratta di una situazione difficile e inedita, che richiede da parte della nostra Chiesa generose risposte di nuova evangelizzazione delle menti e dei cuori e di nuova missionarietà per portare gli uomini e le donne del nostro territorio all’incontro salvifico e liberante con Gesù.

 

3.         Come affrontare la crisi della fede che, come una nebbia fittissima, rende incerto e insicuro il cammino di tutti – credenti e non – sarà il tema che vedrà particolarmente impegnato il prossimo Sinodo diocesano. Ad esso ci dedicheremo con l’umile consapevolezza delle nostre povertà personali e comunitarie, ma anche con la gioiosa certezza che il Signore Gesù – il Risorto, il Vivente, il Presente – continua ad elargirci il dono inestimabile del suo Spirito: è Lui che fa nascere e coltiva le vocazioni, i ministeri e i carismi ecclesiali che sono preziosi per far giungere la divina chiamata della fede a quanti, con cuore sincero, sono in ricerca del senso della vita. Il Sinodo sarà occasione propizia per rinnovare la nostra esperienza e la nostra testimonianza della fede nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. La ritrovata freschezza della nostra esperienza di fede ci renderà più credibili agli occhi dei nostri fratelli e delle nostre sorelle che, come la samaritana del Vangelo di Giovanni, hanno sete del Signore Gesù – anche se inconsapevolmente –, hanno bisogno di incontrarLo – magari nascostamente –, Lo cercano – spesso con affanno e sofferenza – per ricomporre il quadro di esistenze frantumate e insignificanti.

 

4.         Sulla strada del rinnovamento spirituale, a livello personale e comunitario, la nostra Chiesa diocesana si è già incamminata con i due anni di preparazione al Sinodo: il primo dedicato alla Parola di Dio e il secondo all’Eucaristia. Due anni in cui siamo stati invitati a realizzare una specie di esodo pasquale dalle schiavitù dell’Io e del mondo – schiavitù che sono il frutto amarissimo e velenoso dei peccati personali e sociali e delle macchinazioni disgreganti del Demonio – alla salvezza liberante dell’incontro con il Padre nostro che, in Gesù il Cristo e con il dono del suo Spirito Santo, ci ridona la dignità di figli, perdonati perché amati da sempre. A conferma della bontà di questo nostro itinerario verso il Sinodo, ho letto questa autorevole affermazione di Benedetto XVI: «Dobbiamo ritrovare il gusto di nutrirci della Parola di Dio, trasmessa dalla Chiesa in modo fedele, e del Pane della vita, offerti a sostegno di quanti sono suoi discepoli (cfr Gv 6,51). L’insegnamento di Gesù, infatti, risuona ancora ai nostri giorni con la stessa forza: “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la via eterna” (Gv 6,27). L’interrogativo posto da quanti lo ascoltavano è lo stesso anche per noi oggi: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?” (Gv 6,28). Conosciamo la risposta di Gesù: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato” (Gv 6,29). Credere in Gesù Cristo, dunque, è la via per poter giungere in modo definitivo alla salvezza”» (Porta della fede, n. 3).

 

5.         Le difficoltà a vivere, a testimoniare e ad annunciare la fede in Cristo, ma anche la coinvolgente e avvincente possibilità di ritornare a credere e ad essere nuovi evangelizzatori in un ritrovato slancio missionario, ci hanno portato a scegliere come tema del Sinodo diocesano un versetto della Lettera di San Paolo ai Colossesi: «Permanetis in fide fundati et stabiles – … purché restiate fondati e saldi nella fede» (1,23). Pur non essendo mai stato a Colosse, San Paolo, con questa sua Lettera, affronta alcuni problemi emersi in quella comunità cristiana, occasionati da una falsa dottrina così stigmatizzata: «Fate attenzione che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo» (2,8). La preoccupazione di San Paolo è la salvaguardia della fede in Cristo della comunità cristiana di Colosse. Cristo, infatti, viene proclamato superiore ad ogni principato e potenza (cf 1,16; 2,10), di cui ha trionfato facendone pubblico spettacolo (cf 2,15). San Paolo sottolinea fortemente la preminenza di Cristo, per quanto riguarda sia la sua divinità (2,9: «È in Lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità»), sia l’ordine della creazione (1,16-17: «in Lui furono create tutte le cose … e tutte in Lui sussistono»), sia il piano della salvezza inteso come riconciliazione universale (1,20), sia la dimensione ecclesiale (1,18), sia l’identità del cristiano con le implicazioni etiche (3,9-10: «vi siete svestiti dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo»), sia la prospettiva dell’attesa escatologica (1,27: «Cristo in voi, speranza della gloria»). A questo appartiene il ripetuto richiamo al mysterion di Dio, che vede in Cristo il culmine ultimo della rivelazione divina. Oltre al messaggio su Cristo, la Lettera paolina ai Colossesi contiene una formidabile riflessione sulla Chiesa dove, per la prima volta negli scritti neotestamentari, il termine greco ekklesia (chiesa) viene impiegato in senso universale e, quindi, non solo domestico o localistico. Infatti, vi si parla di Cristo come «il capo del corpo, (cioè) della Chiesa … a favore del suo corpo che è la Chiesa» (1,18.24). Sono affermazioni che invitano i destinatari a pensare in grande, a guardare oltre la propria singola realtà ecclesiale, con la motivazione che Cristo stesso è in relazione con l’insieme di coloro che credono in Lui e l’intero suo corpo riceve da Lui «sostentamento e coesione» (2,19). Il prossimo Sinodo sulla fede farà tesoro del prezioso messaggio della Lettera ai Colossesi, professando che Cristo è mediatore unico e universale tra Dio e il mondo creato; che tutto avviene per mezzo di Lui, dalla creazione fino alla salvezza e alla riconciliazione. Poiché il Padre celeste ha posto Cristo a capo dell’intero universo, noi – che, personalmente e come comunità cristiana, siamo stati uniti a Lui, morti e risorti con Lui – se restiamo fedeli a Lui non dobbiamo temere nulla e nessuno; nessuna realtà terrena e mondana o celeste può ormai renderci schiavi, condizionarci, condurci a questo o quel tipo di alienazione. L’unico impegno della fede in Cristo e della carità verso tutti ci procura già ora una vita buona caratterizzata da vera sapienza e serena libertà.

 

6.         Il Sinodo diocesano dovrà essere soprattutto per la nostra Chiesa un intenso evento in cui tutti – vescovo, presbiteri, diaconi, appartenenti alla vita consacrata, fedeli laici – confermiamo la nostra fede cristiana, impegnandoci di fronte a Dio e al mondo di restare fondati e saldi in essa secondo quanto ci viene indicato da San Paolo nella Lettera ai Colossesi. Il rischio che incombe sulla Chiesa, anche sulla nostra, è proprio quello del non cogliere, spesso inconsapevolmente, l’esigenza essenziale e necessaria del restare fondati e saldi nella fede, che dà forma e profilo a ciò che il Santo Padre Benedetto XVI, nella sua preoccupata analisi, descrive come crisi della fede. Confermare la nostra fede cristiana, promettendo di restare fondati e saldi in essa, ci consentirà invece di avviare una entusiasmante stagione ecclesiale di slancio missionario, di annuncio del Vangelo, di testimonianza della carità verso i poveri e i bisognosi. Non una missionarietà generica, non un annuncio generico, non una testimonianza generica, ma della fede cristiana a noi giunta dal preziosissimo patrimonio della Tradizione. Il deposito della fede, contenuto nella Sacra Tradizione e nella Sacra Scrittura, è infatti affidato alla totalità della Chiesa e da noi tutti dev’essere custodito con fedeltà, dedizione e amore. Rimettere al centro la fede ci porterà ad appassionarci di nuovo per la sua verità. Essa trova la corretta e feconda formulazione ed interpretazione dottrinale nel Magistero vivente della Chiesa, cioè i Vescovi in comunione col Successore di Pietro, il Vescovo di Roma. Questo Magistero che, maldestramente e colpevolmente qualcuno – anche all’interno del corpo ecclesiale – mal sopporta e combatte con conseguenze disastrose, è invece un prezioso e indispensabile servizio che ci assicura circa la retta interpretazione delle cose credute e della loro verità salvifica riguardante l’uomo e l’umanità e il loro destino. Restare fondati e saldi nella fede significa tener per fermo la dottrina della nostra salvezza, ossia l’incontro con Gesù Cristo che, nello Spirito, apre alla beatitudine di essere figli del Padre nostro che è nei cieli. Confermati da e radicati nella fede cristiana, siamo anche sollecitati ad annunciarla per la salvezza di tutti, promuovendo «il senso cristiano della vita, mediante l’annuncio esplicito del Vangelo, portato con delicata fierezza e con profonda gioia nei vari ambiti dell’esistenza quotidiana» (Benedetto XVI, Discorso Polo della Salute, 8 maggio 2011). Riappassionarci del Vangelo e a causa del Vangelo: ecco la grande sfida del nostro Sinodo. L’annuncio del Regno di Dio – cuore della missione del Maestro – non è affare di alcuni nella Chiesa. È il motivo per cui la Chiesa esiste, per cui noi esistiamo.

 

7.         La tentazione da cui tener lontano il prossimo Sinodo sarà quella di non dare a Dio il primato, dimentichi che la nostra fede e la nostra speranza cristiane sono sempre e solo rivolte a Lui, sono la nostra risposta al suo gratuito e inaspettato atto di donazione per noi. È anche bene essere avvertiti sulla preliminare necessità di togliere dalla nostra esperienza di fede tante incrostazioni che spesso, più che arricchire il quadro della nostra testimonianza, la confondono e la immiseriscono. Il nostro Sinodo sarà chiamato ad individuare queste pesantezze e, con la grazia di Dio, a rinverdire il volto della nostra Chiesa assumendo atteggiamenti diversi. Come capita spesso – troppo spesso – in molti incontri tra cristiani, si finisce quasi sempre per parlare di tante cose, sicché l’essenziale – Dio e il suo primato da confessare e da cui partire e a cui tornare – subisce come una copertura. Il rischio, infatti, è quello di assegnare un’attenzione prioritaria a tutti gli ambiti della pastorale e a tutti i problemi presenti nella nostra società a prescindere o dando per scontato, sul piano contenutistico e metodologico, il primato di Dio. Il Sinodo, con le sue varie e molteplici attività e iniziative, dovrà sempre partire dal confessare e affermare questo primato di Dio nella vita della Chiesa e anche in vista del contributo dei cristiani per la costruzione della città degli uomini. Infatti, il Sinodo non dovrà soffermarsi a cercare strategie, ricette, risposte, soluzioni, sperimentazioni: questo linguaggio si addice ad un’azienda, ad un bilancio, ad una politica economica e non alla comunità dei credenti. Come non far tesoro, allora, dell’avvertimento che ha lanciato il Santo Padre Benedetto XVI: «Oggi questo essere di Cristo rischia di svuotarsi della sua verità e dei suoi contenuti più profondi; rischia di diventare un orizzonte che solo superficialmente – e negli aspetti piuttosto sociali e culturali – abbraccia la vita» (Discorso San Giuliano, 8 maggio 2011). Restare fondati e saldi nella fede, al giorno d’oggi, richiede molto coraggio, perché ci impegna a rinunziare a quelle diffusissime forme di irenismo che si sono sedimentate anche nelle nostre Chiese rispetto ai problemi che il mondo pone. Si deve certamente guardare al mondo con simpatia, ma direi anche con disincanto: non tutto può essere assunto nella Chiesa senza un sano discernimento. A me pare che, spesso, si viva più di slogan che di una vera analisi del reale. Restare fondati e saldi nella fede implica la riscoperta di un compito preciso: il cristiano non annuncia solo un benessere sociale, ma l’evento santo e salvifico della morte e della risurrezione di Cristo, la sua Pasqua da cui promana la grazia di ogni pasqua personale, ecclesiale e sociale. Il pericolo di confondere il fine della salus animarum con un generico miglioramento della vita comunitaria e sociale potrebbe presentarsi anche nel nostro Sinodo.

 

8.         Affermare il primato di Dio ci porterà a dimenticare l’uomo, i suoi problemi, le culture in cui si inscrive la sua esistenza? A questo quesito, serio e pertinente, bisogna dare una risposta negativa. All’uomo del nostro tempo, «sopraffatto non di rado da vaste ed inquietanti problematiche che pongono in crisi i fondamenti stessi del suo essere e del suo agire» (Benedetto XVI, Discorso San Giuliano, 8 maggio 2011), occorre rendere conto della speranza cristiana (cf 1Pt 3,15). Rendere ragione della speranza cristiana vuol dire proporla davanti alla ragione e con la ragione: qui la fede entra in rapporto con la cultura e le culture. Con una precisazione previa. Ci sono molti e preziosi tesori nelle culture, ma esse da sole non sono in grado di fornire una soluzione completa e definitiva alle inquietanti problematiche che pongono in crisi i fondamenti stessi dell’essere e dell’agire dell’uomo contemporaneo. Il dialogo tra fede e cultura, tanto necessario e da promuovere con generosa convinzione, rischia di essere reso insipido e infecondo – come spesso ci ha insegnato l’esperienza di questi anni – dal mettere tra parentesi la verità e l’identità della fede e dal sottovalutare gli errori e i pericoli per l’uomo derivanti da tanti aspetti delle culture. Una comunità cristiana che ritenesse necessario promuovere il dialogo con le culture mettendo la sordina alla verità e all’unità della fede, è una comunità che ha già frantumato alla base i fondamenti e i presupposti stessi del dialogo. Solo a partire dalla verità e dall’unità della fede, la Chiesa sarà in grado di coltivare un confronto costruttivo e consapevole con tutti i soggetti che vivono nella nostra società e di stabilire rapporti franchi e sinceri con i non praticanti, con i non credenti e con i credenti di altre religioni (cf Benedetto XVI, Discorso Basilica di Aquileia, 7 maggio 2011). Con un’ulteriore precisazione. Il confronto e il rapporto nulla tolgono al compito cristiano dell’annuncio e della evangelizzazione dell’unico Salvatore, cioè all’ansia e alla passione «dell’annuncio missionario, che tutti ci deve coinvolgere in un serio e ben coordinato servizio alla causa del Regno di Dio» (Benedetto XVI, Discorso San Giuliano, 8 maggio 2011).

 

9.         La professione della verità integrale della nostra fede cristiana, vissuta gioiosamente nella Chiesa una santa cattolica e apostolica, ci consentirà di individuare nei lavori del Sinodo diocesano il profilo di una nuova stagione di operoso impegno caritativo – anche a livello di carità sociale e politica – rivolto soprattutto verso i poveri e i bisognosi. La fede coltiva l’amore. Dove viene meno la fede anche l’amore inaridisce. È anche vero che una fede senza l’amore e le sue opere non è una fede vera, cioè cristiana. Fede e carità si sostengono e si alimentano reciprocamente. La fede cristiana ci dona la gioia incommensurabile di una comprensione alta, straordinariamente alta, della persona umana, della sua vocazione, della sua dignità, dei suoi diritti fondamentali e del suo destino trascendente. Sì, la salvezza cristiana è una realtà onnicomprensiva ed integrale che va dallo stare bene che ci permette di vivere serenamente le nostre relazioni … una giornata di studio o di lavoro o di vacanza, fino alla salus animae, alla salute spirituale della nostra anima da cui dipende il nostro destino eterno. La salvezza viene sempre e solo dal Vangelo, anche la salvezza nel senso storico e umano del termine, perché «il Vangelo è la più grande forza di trasformazione del mondo» (Benedetto XVI, Discorso Polo della Salute, 8 maggio 2011). È dall’annuncio del Vangelo che prende forma anche una società dal volto umano: «Dalla fede vissuta con coraggio scaturisce, anche oggi come in passato, una feconda cultura fatta di amore alla vita, dal concepimento fino al suo termine naturale, di promozione della dignità della persona, di esaltazione della importanza della famiglia, fondata sul matrimonio fedele e aperto alla vita, di impegno per la giustizia e la solidarietà» (Benedetto XVI, Discorso Basilica di Aquileia, 7 maggio 2011). Da una fede vissuta può prendere corpo anche «una nuova generazione di uomini e di donne capaci di assumersi responsabilità dirette nei vari ambiti del sociale, in modo particolare in quello politico … A questo impegno infatti non possono sottrarsi i cristiani, che sono certo pellegrini verso il cielo, ma che già vivono un anticipo di eternità» (Ivi). Responsabilità e impegno che devono trovare ispirazione e orientamento nella Dottrina sociale della Chiesa – poco conosciuta –, che è ben in grado di indicare un umanesimo integrale e solidale di cui avvertiamo il bisogno in un tempo segnato da una crisi di sistema, come viene descritta quella che stiamo attraversando, con pesi gravissimi posti sulle spalle soprattutto dei poveri e degli ultimi ai quali va sempre la preferenziale attenzione della Chiesa e dei cristiani.

 

10.      Il Sinodo della fede dovrà essere vissuto con la disponibilità di tutti a riscoprire la fede dei padri, la fede delle origini. Questa fede ci consentirà di essere nel mondo – così spesso segnato dal mistero dell’iniquità, devastato dal peccato personale e sociale e costantemente irretito dal Demonio e dalle sue maligne macchinazioni – testimoni del Signore risorto, testimoni di Colui che, con la sua morte in croce vissuta in docile obbedienza al Padre, ci ha resi, con il dono dello Spirito Santo, figli di Dio, quindi liberi da ogni seduzione del peccato e capaci di opporci con la nostra fede alle strutture di peccato che opprimono l’uomo e lo calpestano. Il Sinodo della fede ci permetterà di riscoprire la dimensione comunitaria del nostro vivere la fede. Tale dimensione è essenziale all’esperienza della fede cattolica. Essa non è mai l’avventura di un eroe solitario, ma è dono trinitario che giunge a noi nella Chiesa che lo nutre con i Sacramenti e la Parola. La fede cattolica è dono dell’amore divino e si vive compiutamente nel contesto della comunione ecclesiale. Il dinamismo della fede accolta e vissuta è pertanto intrinsecamente relazionale, capace cioè di collocare il credente in una feconda apertura a Dio e in una disponibilità all’incontro con i fratelli e sorelle nelle fede e con gli uomini e le donne di buona volontà, di ogni cultura e di ogni credo. La fede non chiude: apre e ci apre e genera rapporti, amicizie, incontri… È questa la Chiesa, mistero di comunione con Dio e tra i fratelli e sacramento di unità e di fraternità tra gli uomini e per gli uomini. Comunione stretta attorno al Vescovo – adiuvato dal ministero dei Presbiteri – che di Cristo Capo e Pastore è il sacramento visibile; comunione servita dal ministero dei Diaconi; comunione esemplarmente interpretata dalle comunità dei Religiosi e delle Religiose e da altre esistenze consacrate al Signore nell’obbedienza, nella povertà e nella castità; comunione che i Fedeli Laici portano e testimoniano negli ambiti della vita secolare: la famiglia, la scuola, il mondo del lavoro, le professioni. Una comunione di fede, di speranza e di carità, caratterizzata dall’incessante ricerca dei suoi membri a intraprendere cammini di santità. Una comunione di evangelizzati e di nuovi evangelizzatori, sempre pronti a portare il Vangelo a tutte le persone perché incontrino Gesù il Cristo, il Desiderato di tutte le genti e la Speranza di tutta l’umanità.

 

11.      Dentro la cornice delineata in questo documento e prima dell’apertura ufficiale del V Sinodo diocesano, bisognerà farsi carico di alcuni appuntamenti preparatori. – In primo luogo, gli incontri decanali dei Consigli pastorali parrocchiali – nei mesi di aprile e di maggio – che forniranno gli elementi essenziali per la composizione del testo dei Lineamenta. Testo di grande importanza perché costituirà la base per i lavori del Sinodo. Entro il mese di settembre questo testo dovrà essere tra le nostre mani. – In secondo luogo, la pubblicazione del Regolamento del Sinodo che consentirà la nomina e la elezione di coloro che, a norma del diritto, saranno gli attori del Sinodo. Il Regolamento ordinerà anche i lavori delle sedute sinodali e tutto ciò che concerne il buon andamento delle discussioni e delle votazioni.

 

12.      Carissimi fratelli e sorelle, a voi che con me siete chiamati ad essere fondati e saldi nella fede in Cristo unico Salvatore dell’uomo, a voi chiedo di affidare il nostro Sinodo all’intercessione della Vergine Maria, la Madre di Dio, che da secoli veglia, dallo splendido mosaico absidale della Cattedrale di San Giusto, la nostra Chiesa e la nostra Città. Collocata sopra i dodici Apostoli, La si può ammirare nell’atto di donare il Signore Gesù per quanti cercano un ancoraggio di fede e di speranza per la loro esistenza. Così dovrà essere la nostra Chiesa: radicata nella tradizione apostolica e sempre pronta a donare il Signore Gesù, Colui che ci consente di vivere e crescere nella verità e nella carità. Prepariamoci con fiducia a questo cammino sinodale, disponiamo mente e cuore affinché la nostra Chiesa sappia accogliere con gratitudine responsabile il dono della fede e vivere ogni sua scelta con fede e per fede. San Giusto, San Sergio, le Sante Eufemia e Tecla, Sant’Apollinare e il beato don Francesco Bonifacio ci accompagnino con la loro intercessione.

 

Di cuore, benedico tutti!

 

Trieste, 15 aprile 2012

Domenica in albis