santità

Una vita da santi | Messaggio per la Quaresima 2018

DIOCESI DI TRIESTE

 

Giampaolo Crepaldi
Arcivescovo-Vescovo di Trieste

MESSAGGIO PER LA QUARESIMA 2018

UNA VITA DA SANTI

 

Carissimi presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate, fedeli laici della Chiesa di Trieste: “grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo” (1Cor 1,3).

Premessa         

1.         La Chiesa, con spirito materno, ci offre il tempo di Quaresima – tempo di preghiera, di penitenza e di opere di carità – per sollecitarci a una profonda conversione di vita che ci consenta di abbandonare le strade del peccato per percorrere quelle della grazia dell’incontro con Cristo morto e risorto. La Chiesa sa bene che senza questo incontro le nostre vite restano prive di senso, incatenate al peccato e alle più varie e degradanti schiavitù morali, private di luce e di calore. L’incontro con Cristo ci apre invece ad una vita resa luminosa dal dono della fede e calorosa dal dono della carità, una vita quindi piena di speranza e di fiduciosa confidenza in Dio, in se stessi e nel prossimo, una vita capace di sorprendenti novità, ricca di bene e di promettenti realizzazioni. Una vita da santi: ecco, cari fratelli e sorelle, il tema che ho scelto per il Messaggio della Quaresima di quest’anno. A convincermi sulla sua validità è stata la lettura del capitolo V della Costituzione conciliare Lumen Gentium, dove si tratta della universale vocazione alla santità nella Chiesa, capitolo che si apre con queste impegnative parole: “…tutti nella Chiesa, sia che appartengano alla gerarchia, sia che siano retti da essa, sono chiamati alla santità, secondo le parole dell’Apostolo: «Sì, ciò che Dio vuole è la vostra santificazione» (1Ts 4,3; cf. Ef 1,4)” (n. 39). Queste parole sono al cuore e il cuore di tutto il Concilio Vaticano II. I numerosi indirizzi di riforma liturgica, ecclesiale, pastorale…, tutti necessari e urgenti, non si potranno realizzare se non si ottempera all’appello alla santità. Purtroppo esso rischia di essere quello meno coltivato, anzi trascurato, quando invece ad esigerlo e a reclamarlo sono Dio e la coscienza.

Alcune luci dalla Sacra Scrittura

2.         Siamo più abituati a guardare alla Chiesa nel suo sforzo di fare i santi, più che ad essere Chiesa nel farci santi, convinti erroneamente che la santità sia prerogativa che riguarda solo alcuni eletti, la cui la vita è connotata da fenomeni e prove straordinari. Non è così. La santità è una vocazione che riguarda tutti ed è alla portata di tutti. Alcuni vengono canonizzati, ma questo non toglie nulla al fatto che la vocazione alla santità sia universale, cioè che sia una vocazione che riguarda tutti e ciascuno di noi. Non rispondiamo alla vocazione alla santità per finire sugli altari, ma per il legame che unisce le nostre vite a Dio stesso. Il Levitico, libro dell’Antico Testamento, chiarisce molto bene questa profonda motivazione: “Siate santi perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo” (Lv 19,2). Dio è tre volte santo: qadosch, qadosch, qadosch – parola ebraica che significa santo – è quella che meglio di ogni altra qualifica la realtà stessa di Dio. La Madonna, infatti, che di Dio ebbe un’esperienza unica e irripetibile, nel mirabile canto del Magnificat, proclamato quando va a trovare sua cugina Elisabetta, afferma che “Santo è il suo nome” (Lc 1,49). Non solo il suo nome è santo, perché le Sacre Scritture sono ad istruirci che santi sono anche i pensieri, le opere e le vie di Dio. Tutto questo ci educa a considerare Dio come assoluto e trascendente, cioè che sta al di sopra di tutte le nostre categorie, anche se la santità di Dio coinvolge oggetti, luoghi, riti, prescrizioni ben messa in risalto nel codice di santità o legge di santità, prevalentemente ristretto in ambiti ritualistici[1]. Tutto questo comunque non ha mortificato le interpellanze rivolte direttamente all’uomo formulate dai Profeti e presenti nei Salmi. Voci sublimi che alla domanda: “Chi potrà salire il monte del Signore? Chi starà nel suo luogo santo?”, hanno risposto: “Colui che cammina nella giustizia e parla con lealtà” (Sal 24,3; Is 33,15).

3.         Nel Nuovo Testamento il concetto di santità si allarga e si approfondisce. L’aspetto più innovativo lo possiamo formulare sinteticamente in questo modo: ad essere espressione della santità di Dio non sono più i luoghi (Tempio di Gerusalemme o il Monte Garizim) ma una persona, Gesù Cristo. Egli è la santità stessa di Dio che ci raggiunge di persona. “Tu sei il Santo di Dio!” (Gv 6,69), troviamo scritto nel Vangelo di Giovanni. Il libro dell’Apocalisse lo chiama “il Santo” (Ap 3,7), nome richiamato nella liturgia quando, al momento del Gloria, proclamiamo tu solus Sanctus, tu solo sei Santo. Questa innovativa prospettiva sulla santità introdotta con l’incarnazione di Gesù e con i misteri pasquali della Sua morte e risurrezione, supera l’angusta visione ritualista e legale della santità tipica dell’Antico Testamento. Tutto questo ha profonde implicazioni anche per il nostro cammino di santità: essa non risiede nelle mani, ma nel cuore; non si decide fuori, ma dentro l’uomo e si riassume nella carità: “Non ciò che entra nella bocca rende impuro l’uomo; ciò che esce dalla bocca, questo rende impuro l’uomo!” (Mt 15,11). Per noi cristiani, quindi, chiamati alla santità, esiste un punto di partenza necessario e ineludibile: il cammino personale di santità ha la sua origine in un incontro, quello con Cristo, e si snoda lungo tutta l’esperienza della vita nella cura di questo incontro. La santità del cristiano è, in definitiva, una grande e coinvolgente storia di fede in Cristo e di amore per Cristo. In questo modo, noi apparteniamo a Cristo più che a noi stessi (cf. 1Cor 6,19-20). Tutto questo è bene illustrato da San Paolo sia nella sua Lettera ai Filippesi (cf. Fil 3,5-10) sia nella Prima Lettera ai Corinti dove afferma, in maniera ardita, che Cristo è diventato per noi “giustizia, santificazione e redenzione” (1Cor 1,30). Tutto questo per noi, tanto che possiamo reclamare la Sua santità come nostra a tutti gli effetti.

4.         Nel descrivere il dinamismo della santità, il Nuovo Testamento introduce un agente speciale: lo Spirito Santo che offre ad essa un profilo e una caratterizzazione trinitaria. San Giovanni, infatti, nella sua Prima Lettera scrive: “In questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha donato il suo Spirito” (1Gv 4,13). L’incontro con Cristo, il rimanere di Cristo in noi e di noi in Cristo, avviene per opera dello Spirito Santo. Su questo punto è bene che ci soffermiamo perché si tratta di qualcosa di decisivo per rispondere in maniera autentica alla vocazione alla santità. Quale Spirito riceviamo in dono? Quale opera di santificazione opera lo Spirito Santo? Andiamo con ordine nel rispondere a queste due domande. Per la prima domanda: lo Spirito che riceviamo è quello stesso che ispirò Gesù nella Sua vicenda terrena spesa tra Betlemme, Nazareth e Gerusalemme; lo stesso che santificò tutta la Sua umanità; quello che lo sostenne nella Sua dolorosa passione, nella Sua morte in croce e nella Sua folgorante risurrezione: ecco, quello Spirito, il Cristo, dalla croce e nell’evento della Pentecoste, effuse sulla Chiesa e su tutti i cristiani. Lo Spirito che santificò l’umanità del Cristo, ora santifica la nostra umanità. In questo modo la nostra santità è la santità stessa di Gesù. Per la seconda domanda: come avviene tutto questo? Tramite il sacramento del Battesimo, noi siamo veramente “santificati in Cristo Gesù” (1Cor 1,2): “Siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio”, ci insegna San Paolo, proprio riferendosi al Battesimo (1Cor 6,11). Nel Nuovo Testamento due verbi si alternano a proposito della santità, uno all’indicativo e uno all’imperativo: “Siete santi”, “Siate santi”. I cristiani sono santificati e santificandi. Quando Paolo scrive: “Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione”, è chiaro che intende proprio questa santità che è frutto anche di impegno personale. Aggiunge infatti, come per spiegare in che consiste la santificazione di cui sta parlando, “che vi asteniate dall’impurità, che ciascuno di voi sappia trattare il proprio corpo con santità e rispetto” (1Ts 4,3-4).

Alcune domande e risposte sulla santità

5.         Facendo tesoro dell’illuminante insegnamento della Parola di Dio, a questo punto dobbiamo dare qualche risposta ad una serie di domande che ci stimolano a delineare meglio il profilo della santità cristiana. La prima domanda che affrontiamo è questa: chi è chiamato ad essere santo? Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione dogmatica Lumen gentium sulla Chiesa, ci insegna che la santità è una chiamata universale e afferma che nessuno ne è escluso. Questo il testo conciliare: “Nei vari generi di vita e nei vari compiti una unica santità è coltivata da quanti sono mossi dallo Spirito di Dio e, obbedienti alla voce del Padre e adorando in spirito e verità Dio Padre, camminano al seguito del Cristo povero, umile e carico della croce, per meritare di essere partecipi della sua gloria” (n. 41). Secondo i Padri conciliari, il cristiano riconosce un’unica legge suprema: la nostra vita vissuta in Cristo Gesù. La santità consiste nel seguire Cristo per unirsi a Lui, vivendo i suoi misteri, facendo nostri i suoi atteggiamenti, i suoi pensieri, i suoi comportamenti. La misura della santità ci è fornita dalla statura che Cristo raggiunge in noi, da quanto, con la forza dello Spirito Santo, modelliamo tutta la nostra vita sulla sua. È l’essere conformi a Gesù, come afferma san Paolo: “Quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo” (Rm 8,29). E sant’Agostino esclamò: “Viva sarà la mia vita tutta piena di Te” (Confessioni, 10,28).

6.         La seconda domanda è questa: come possiamo percorrere la strada della santità? Anche per rispondere a questa domanda ci viene in aiuto il Concilio Vaticano II: “I seguaci di Cristo, chiamati da Dio, non a titolo delle loro opere, ma a titolo del suo disegno e della grazia, giustificati in Gesù nostro Signore, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi. Essi quindi devono, con l’aiuto di Dio, mantenere e perfezionare con la loro vita la santità che hanno ricevuto” (Lumen Gentium, n. 40). In questo testo, i Padri conciliari sottolineano fortemente il valore del battesimo per insegnarci che la santità ha la sua fonte nella grazia battesimale, nell’essere innestati nel Mistero pasquale di Cristo, con cui ci viene comunicato il suo Spirito, la sua vita di Risorto. Anche su questo punto specifico riecheggiano gli insegnamenti di San Paolo che mette costantemente in evidenza la trasformazione che opera nell’uomo la grazia battesimale fino a giungere a coniare una terminologia nuova, caratterizzata dall’uso della preposizione “con”: i cristiani sono con-morti, con-sepolti, con-risuscitati, con-vivificati con Cristo. “Per mezzo del battesimo – scrive San Paolo nella Lettera ai Romani – siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti… così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (6,4).

7.         La terza domanda è questa: qual è l’anima della santità? Anche per questa domanda chiediamo l’aiuto del Concilio Vaticano II che ci offre una risposta folgorante: la santità cristiana non è altro che la carità pienamente vissuta. Questo il testo: “«Dio è amore e chi rimane nell’amore, rimane in Dio e Dio in lui» (1Gv 4,16). Dio ha diffuso il suo amore nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci fu dato (cf. Rm 5,5); perciò il dono primo e più necessario è la carità, con la quale amiamo Dio sopra ogni cosa e il prossimo per amore di lui. Ma perché la carità, come buon seme, cresca e nidifichi, ogni fedele deve ascoltare volentieri la parola di Dio e con l’aiuto della sua grazia compiere con le opere la sua volontà, partecipare frequentemente ai sacramenti, soprattutto all’eucaristia, e alle azioni liturgiche; applicarsi costantemente alla preghiera, all’abnegazione di se stesso, all’attivo servizio dei fratelli e all’esercizio di tutte le virtù. La carità infatti, quale vincolo della perfezione e compimento della legge (cf. Col 3,14; Rm 13,10), regola tutti i mezzi di santificazione, dà loro forma e li conduce al loro fine” (Lumen gentium, n. 42). Brano molto denso che provo a riassumere nei suoi insegnamenti essenziali con parole semplici. Il cammino della santità comporta: a) l’osservanza del precetto festivo, cioè non lasciare mai una domenica senza un incontro con il Cristo Risorto nell’Eucaristia; b) non iniziare e non terminare mai un giorno senza la preghiera, cioè senza il rapporto con Dio; c) osservare i dieci comandamenti che Dio ci ha comunicato nel Decalogo. Ecco le indicazioni, semplici e grandi, per percorrere la strada della santità: l’incontro con il Signore Risorto la domenica; il contatto con Dio all’inizio e alla fine del giorno; seguire i Comandamenti che Dio ci ha comunicato.

I Santi, riflessi del volto di Dio

8.         Per darci coraggio nel cammino della santità è anche opportuno soffermarsi a considerare la vita dei Santi. Con grande saggezza pedagogica, infatti, la Chiesa, durante l’Anno Liturgico, ci propone una schiera di Santi, di coloro, cioè, che hanno vissuto pienamente la carità e hanno saputo amare e seguire Cristo nella loro vita quotidiana. Vogliamo ricordare qui i Santi e le Sante della nostra Chiesa tergestina: san Giusto, san Lazzaro, san Sergio, san Servolo, sante Eufemia e Tecla, santi Ermacora e Fortunato, beata Maria Teresa Ledochowska, beato don Francesco Bonifacio. Scrissero i Padri conciliari: “Nella vita di quelli che, sebbene partecipi della nostra natura umana, sono tuttavia più perfettamente trasformati nell’immagine di Cristo (cf. 2Cor 3,18), Dio manifesta agli uomini in una viva luce la sua presenza e il suo volto. In loro è egli stesso che ci parla e ci dà un segno del suo Regno verso il quale, avendo intorno a noi un tal nugolo di testimoni (cf. Eb 12,1) e una tale affermazione della verità del Vangelo, siamo potentemente attirati” (Lumen gentium, n. 50). In questo passaggio della Lumen gentium troviamo la ragione profonda del culto dei beati e dei santi. “L’avvenire degli uomini – ha osservato il grande Vescovo e teologo Card. Giuseppe Siri – non è mai chiaro, perché tutti i loro peccati corrodono tutti i sentieri della storia e inducono una dialettica intricata di cause e di effetti, di errori e di nemesi, di esplosioni e di interruzioni. La certezza che i santi continueranno ad accompagnare gli uomini è una delle poche garanzie dell’avvenire” (Il primato della verità, 154).

9.         I Santi non sono solo quelli beatificati o canonizzati, cioè quelli che veneriamo sugli altari. Dobbiamo abituarci a riconoscere la santità anche in tanti cristiani conosciuti nell’ordinarietà e quotidianità della vita. Essi sono spesso persone molto semplici, ma che vivono la fede in Cristo con intensità, amore e disinteresse; che testimoniano la carità anche in situazioni difficili, e, in unione alle sofferenze di Cristo, affrontano con pazienza le durezze della vita; cristiani capaci di cogliere, nella preghiera quotidiana, la relazione tra il mistero della loro vita e quella del Signore. Sono tanti, anche a Trieste; in genere, sono la parte più nascosta, ma anche la più preziosa della nostra Chiesa. Essi, con la loro vita, ci trasmettono il Vangelo della santità e ci dicono che la santità cristiana è possibile; è possibile dentro le condizioni ordinarie della famiglia, del lavoro, delle relazioni familiari e sociali, nelle ore liete e nelle ore buie e dolorose della vita. Essi sono come dei fari che ci indicano la strada da percorrere. Un grande filosofo francese del XX secolo, Henry Bergson, ha osservato che “i più grandi personaggi della storia non sono i conquistatori, ma i santi”.

Conclusioni

10.         Molte volte, soprattutto noi preti, ci interroghiamo su quale sia il programma pastorale migliore per la nostra Diocesi. Io credo che il programma dei programmi sia additare la santità e risvegliare in tutti la chiamata alla santità: vescovo, sacerdoti, consacrati, religiosi e religiose, fedeli laici. Se i padri conciliari diedero alla tematica della vocazione universale alla santità tanto risalto, non fu per conferire una sorta di tocco spirituale all’ecclesiologia, ma piuttosto per farne emergere una dinamica intrinseca e profondamente qualificante nella vita delle nostre comunità cristiane. Porre la santità a fondamento della programmazione pastorale, potrebbe sembrare qualcosa di scarsamente operativo. In realtà, porre la vita e l’attività pastorali nel segno della santità è una scelta gravida di conseguenze, tutte buone e belle. È ora di riproporre a tutti con convinzione questa misura alta dell’esperienza cristiana ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale, delle famiglie cristiane, dei giovani, di ognuno di noi deve andare in questa direzione, quella di condurre una vita da santi.

11.         Cari fratelli e sorelle, con questo mio Messaggio per il tempo della Quaresima ho voluto dirvi questo: tutti siamo chiamati alla santità. San Paolo lo esprime con grande intensità, quando scrive: “A ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo… Egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo” (Ef 4,7.11-13). Tutti siamo chiamati ad aprire il nostro cuore all’azione dello Spirito Santo, che trasforma la nostra vita, per essere anche noi come tessere del grande mosaico di santità che Dio va creando nella storia, perché il volto di Cristo splenda nella pienezza del suo fulgore. Non dobbiamo aver paura a puntare verso le altezze di Dio, anche se ci sentiamo poveri, inadeguati, peccatori: sarà Lui a trasformarci secondo il suo amore. Affidiamoci a Maria, la piena di grazia; in Lei la Chiesa ha riconosciuto “la tutta santa e immune da ogni macchia di peccato”, “adornata fin dal primo istante della sua concezione dagli splendori di una santità del tutto singolare” (Lumen gentium, n. 56).

 

Trieste, 14 febbraio, Mercoledì delle Ceneri

[1] “Santificatevi e siate santi… non contaminatevi con alcuno di questi animali” (Lv 11,44; 21,23).